L’esigenza di appartenere a un gruppo, a una comunità, è una delle caratteristiche dell’essere umano che ha bisogno di poter condividere codici ed esperienze. Lo abbiamo sperimentato in maniera molto forte durante il lockdown, quando essere parte di una community virtuale è stata una delle poche occasioni di socialità e di scambio che potevamo avere.
Sicuramente oggi abbiamo altri strumenti per dialogare e confrontarci rispetto a quelli che avevano i nostri nonni, ma il bisogno è sempre lo stesso: quello di ritrovarci in tribù, ovvero “un gruppo di persone connesse l’una all’altra, connesse a un leader o a un’idea. Per milioni di anni gli esseri umani sono stati parte delle tribù” come la definisce Seth Godin, celebre imprenditore americano. Proprio nelle tribù, i brand dovrebbero agire da aggregatori e da leader ascoltando le persone e imparando a dialogare davvero con loro, conquistando la loro fiducia.
Nell’era post-Covid ci rendiamo sempre più conto di quanto la vicinanza dei marchi ai loro clienti sia un aggregatore sociale ormai percepito come indispensabile: nessuno vuole più rinunciare al fattore umano, al contatto, alla vicinanza seppur digitale. Abbiamo visto come questo porti, inevitabilmente, i brand a ripensare interamente la propria comunicazione in un’ottica più umana, maggiormente centrata sulle persone e sui loro reali bisogni.
Le community online, moderne tribù
Chiedere pareri, ascoltare voci diverse, sentirsi partecipi di qualcosa che è più grande di noi eppure ci è così vicino: le community social sono il luogo non-fisico dove tutto ciò avviene, ormai già da tempo e molto prima della pandemia. I brand, ma anche i professionisti, gli enti, le associazioni che riescono a farsi promotori di questa tipologia di aggregazione non convenzionale, assolutamente non fisica ma – proprio per questo – così attrattiva per numeri sempre più alti di persone, diventano dei veri e propri punti di riferimento valoriali.
Gli esseri umani sono naturalmente portati a far parte di una comunità, al suo interno sviluppano la propria identità, si incoraggiano e si supportano a vicenda. Non importa che questo avvenga attraverso un incontro dal vivo o passando per un canale digitale. Uno studio di Business Insider ha mostrato come durante il lockdown l’utilizzo della funzione streaming live di Instagram sia aumentato del 70% nei soli Stati Uniti, a dimostrazione di quanto sia forte la spinta a condividere esperienze, in qualsiasi circostanza.
I gruppi online, di qualsiasi natura essi siano, creano quel coinvolgimento e quella partecipazione che tutti cerchiamo e permettono di ascoltare davvero le persone: chi fa parte di una community creata attorno a un brand non è solo un cliente, ma un vero e proprio ambassador, che ha fatto un’esperienza e vuole condividerla con gli altri.
Ma come si fa a creare una community online di successo?
Proprio pensando a come i gruppi online possano essere utilizzati per un marketing sano e costruttivo, a DeRev abbiamo progettato dieci regole con cui aiutiamo i brand a costruire una community di successo sui social media:
1) Definire gli obiettivi strategici di breve, medio e lungo periodo. L’aggregazione è il motore, ma per creare una community che porti davvero al brand i vantaggi che cerca è importante capire come coinvolgerli, per esempio nella creazione di contenuti originali, e per convertirli (in un secondo momento) in clienti. Si può, ad esempio, proporre una membership che gli offra notevoli opportunità e attraverso la quale accedere a servizi esclusivi o a pagamento, creare dinamiche per cui anche i membri stessi della community potrebbero monetizzare, ad esempio attraverso la revenue sharing di prodotti o servizi da promuovere all’interno della community stessa. Si può scegliere uno di questi obiettivi oppure perseguirne diversi, ma è essenziale avere un focus ben definito che permetta di pianificare contenuti e azioni ad hoc, in coerenza e sinergia con tutte le altre attività di comunicazione e community building, e non disperdere l’energia generata.
2) Definire la natura e l’identità della community: sarà legata al brand, a un prodotto o sarà basata su un insieme di valori e idee condivise? Il gruppo sarà chiuso o aperto? Qual è il target di utenti a cui si rivolge? Queste domande sono essenziali per mettere le basi per una community di successo: condividere valori e linguaggio, sentirsi parte di qualcosa di unico, avere la sensazione di trovarsi in un luogo protetto, in cui ci si possa esprimere liberamente ma all’interno di regole condivise e rispettate. Essere leali con tutti i membri della community è il primo passo per creare un clima di fiducia e condivisione.
3) Definire il team che lavorerà alla costruzione e al mantenimento della community: quali saranno i ruoli? Le persone saranno interne o esterne? Capire quali saranno gli strumenti e le risorse messi in campo, se si utilizzerà Facebook oppure un profilo Instagram o un forum esterno. Tutti questi canali hanno caratteristiche diverse e, quindi, attiveranno diverse risposte da parte degli utenti. Una delle piattaforme più diffuse, che negli ultimi mesi è diventata un vero e proprio punto di riferimento, è Twitch: di proprietà di Amazon, raccoglie video e contributi di persone di tutto il mondo che parlano di videogiochi. Si tratta di una piattaforma ampia ma molto verticale, in cui gli utenti danno il proprio contributo e si scambiano opinioni all’interno dei propri canali. Lo scambio è fondato sulla fiducia e sulla stima reciproca che i videogiocatori nutrono l’uno per l’altro.
4) Stabilire le regole e la policy del gruppo: questo è uno step essenziale, poiché senza regole la community diventa solo un insieme disordinato di persone che parlano, pubblicano spam e litigano. Le prima cose da definire sono: il tipo di linguaggio utilizzato, il modo con cui si può interagire con gli altri, di cosa si può e non si può parlare. Molte community stabiliscono anche hashtag propri e giorni specifici in cui si possono condividere delle cose in particolare, come annunci, video, link esterni. Le regole dovrebbero essere pensate in relazione alla tipologia della community e alla tipologia di interazione che ci si aspetta tra i partecipanti, e sono fondamentali affinché tutto funzioni al meglio e non si generino flame che andrebbero ad inquinare l’ambiente.
5) Definire un piano editoriale con tipologia di contenuti e tempistiche. Le community sono fondate sullo scambio reciproco da parte degli utenti, ma ciò non significa che il brand o il personaggio attorno al quale si formano non debbano prendersene cura sin nei dettagli, predisponendo un piano contenuti adeguato e ben definito. Alimentare lo scambio con contributi adeguatamente studiati, infatti, è essenziale affinché si raggiungano gli obiettivi di cui abbiamo parlato sopra, ma anche per tenere viva la community: le persone che ne fanno parte, infatti, scelgono di aderire per ricevere contenuti di valore da cui imparare qualcosa. Le tribù digitali potrebbero essere aggregate intorno a interessi comuni, oppure formate da clienti e potenziali clienti di un brand, partecipanti a eventi, lettori o amanti di serie televisive o film: insomma non c’è davvero limite, ma l’unica cosa che accomuna tutti questi gruppi è la loro esigenza di essere alimentati continuamente e guidati attraverso scambi e conversazioni costruttive e di valore.
6) Pensare a iniziative creative di coinvolgimento. In un gruppo non ci sono solo i contenuti prodotti dal brand, ma è essenziale che gli utenti si sentano coinvolti in prima persona. Per questo è importante proporre periodicamente (e sempre seguendo un piano editoriale) dei contest, dei sondaggi o delle attività speciali con cui chiedere alle persone di produrre e pubblicare contributi propri, che creino valore per tutta la community. Inoltre, in un gruppo legato a un brand è essenziale che anche l’assistenza e il customer care siano pubblici, in modo che tutti possano trarre beneficio dalle esperienze condivise. Rendere partecipi gli utenti delle decisioni da prendere – come, ad esempio, la creazione di hashtag specifici, gli argomenti da approfondire con video e dirette o quale giorno dedicare a contenuti particolari – rafforzerà il legame tra le persone e il brand e farà sì che tutti si sentano parte di un gruppo coeso.
7) Essere disposti all’ascolto e creare occasioni di scambio e dialogo tra i membri e il brand. Ormai è chiaro che la parola chiave delle community è “condivisione”: uno scambio proficuo tra le persone e il brand e tra gli utenti tra loro è l’obiettivo primario di un gruppo o un forum sul web. Questo livello di coinvolgimento si raggiunge permettendo a tutti di partecipare in modo costruttivo alla vita della community, quindi evitando comunicazioni a senso unico, contenuti esplicitamente commerciali e promuovendo il dialogo e lo scambio reciproco, anche tra brand e utenti.
8) Incentivare la partecipazione e la pubblicazione di contenuti originali da parte dei membri. Lo scambio, come dicevamo, dovrebbe essere reciproco, quindi è bene che gli utenti siano coinvolti anche nella creazione di contenuti. Di solito il fatto stesso di poter dare un contributo a un gruppo a cui ci si sente particolarmente legati spinge le persone a rendersi content creator spontanei e di valore, ma il meccanismo può essere incentivato dalla possibilità, ad esempio, di monetizzare in base alla qualità dei contributi proposti oppure con un meccanismo di revenue sharing sulla vendita di contenuti particolarmente articolati e di valore. Gli utenti potrebbero essere coinvolti anche nelle attività di moderazione del gruppo, essendo nominati moderatori, oppure nell’assistenza ad altri utenti.
9) Creare una connessione con l’esterno, restando aggiornati e condividendo spunti di attualità. Ci si può incontrare dal vivo? Se sì, dove e quando? Si possono condividere esperienze vissute fuori dallo schermo? Quali sono gli spunti di attualità che sarebbe utile discutere all’interno del gruppo? È importante che il gruppo abbia un aggancio anche “offline” in modo che le attività e le esperienze di tutti i membri possano essere più ricche e vissute anche nella vita quotidiana: questo sarà un punto di forza in più per la fidelizzazione nei confronti della community.
10) Invitare i membri a coinvolgere altre persone che potrebbero essere interessate. Allargare la community è un bene se ad entrare sono nuove leve che portano vitalità e contributi di valore. Per incentivare questo meccanismo si possono coinvolgere gli utenti già presenti nel gruppo a invitare amici e persone interessate, magari offrendo loro un riconoscimento per aver portato all’interno della community nuovi membri. La buona norma vuole che le new entry si presentino a tutta la community e spieghino chi sono e perché hanno scelto di far parte del gruppo: in questo modo si pongono le basi per una condivisione sana e proficua tra tutti i partecipanti.
I gruppi Facebook: le regole e le best practices
Facebook ospita ormai milioni di gruppi in tutto il mondo e alcuni di essi sono community piuttosto estese, che si aggregano intorno a obiettivi e valori comuni. Recentemente il social network ha puntato molto su questo strumento, introducendo nuove regole e features che lo rendono sempre più versatile e apprezzato.
Aprire un gruppo Facebook è piuttosto semplice: basta seguire qualche semplice regola, scegliere il nome, impostare un’immagine di profilo e logo e il gioco è fatto. A monte, però, ci sono delle scelte da fare: in primo luogo, come abbiamo visto sopra, è bene decidere sin da subito l’obiettivo del gruppo per poter impostare correttamente alcuni parametri, in primis la privacy. Sarà un gruppo pubblico o privato? Tutti potranno iscriversi o dovranno essere approvati dagli amministratori? Prima di essere ammessi i nuovi membri dovranno rispondere a delle domande? Tutto questo può essere comodamente impostato nel momento in cui si apre il gruppo ma può essere rivisto e sistemato anche in un secondo momento.
La tipologia di gruppo che si sceglie, e che può essere modificata in un secondo momento dagli amministratori, è essenziale affinché Facebook possa fornire gli strumenti giusti per far funzionare la community. Oltre ai gruppi di tipo “Generale”, esistono i gruppi finalizzati a “Acquisti e vendite”, quelli per le “Offerte di lavoro” e quelli per i “Videogiochi”: ognuno di essi ha delle caratteristiche specifiche, come quella di mettere in contatto le persone anche se non sono “amici” oppure quella di organizzare tornei online.
I gruppi, inoltre, possono essere creati anche direttamente da Facebook for business ed essere così collegati a pagine di brand, di prodotti o personaggi pubblici. Attenzione: in questo caso è importante che la community si articoli intorno a interessi o valori che sono collegabili al brand o al personaggio, ma non si identifichino completamente in esso. La differenza tra un gruppo e una pagina Facebook è proprio questa: mentre nella pagina tutta la comunicazione è incentrata sul brand e sul prodotto ed è solitamente “in push”, nel gruppo si alimenta uno scambio reciproco, non unidirezionale, che porta al coinvolgimento più profondo e quindi alla fidelizzazione degli utenti.
In alcuni Paesi, tra cui Stati Uniti e UK, sono già disponibili anche i Subscription Groups, una sorta di club esclusivi che permettono agli utenti di ricevere contenuti esclusivi e di alto livello in cambio di una quota di sottoscrizione. In Italia questo può essere ricreato attraverso le membership, ossia il pagamento di quote periodiche che permettono di accedere a determinati benefit, che sempre più spesso vengono erogati proprio attraverso i gruppi Facebook.
Le community social sono dunque un ottimo strumento di marketing per i brand, e se utilizzate correttamente portano non solo all’acquisizione di lead e utenti pronti all’acquisto ma soprattutto alla fidelizzazione dei clienti che diventano veri e propri ambassador del marchio: ne siamo talmente convinti che DeRev stessa ha scelto di investire creando le proprie community verticali sui social media – che ad oggi contano oltre 3 milioni di utenti italiani iscritti – e strutturando un team di community building e management che quotidianamente studia le funzionalità e le dinamiche con cui si evolvono le community online, affiancando brand e aziende, soggetti istituzionali e personaggi pubblici nel creare e gestire la propria community sul web e sui social media.