Ci sarà un giorno una campagna elettorale digital, ma quel giorno non coincide con le elezioni amministrative 2021. Su impulso del quotidiano La Repubblica, abbiamo misurato il grado di maturità della comunicazione sui social media dei principali candidati che si presenteranno alle urne per le città di Milano, Roma e Napoli. Analizzando gli indicatori di performance abbiamo potuto fotografare lo stato dell’arte, ma anche elaborare una classifica di confronto che non lascia scampo a dubbi: in politica esiste un digital gap. Una frattura fra cittadinanza e aspiranti rappresentanti che si rende ancora più macroscopica se si pensa che il ricorso agli strumenti digitali ha fatto un significativo balzo in avanti in quasi tutti i settori. Accade in parte per i ritardi nelle candidature e in parte per scarsità di denaro. Ma pesa molto anche una generale sottovalutazione dello strumento e un’imperizia nell’utilizzo.
Come è stata condotta l’analisi
Sono stati analizzati i profili social ufficiali (pagine pubbliche e profili dotati di badge di autenticazione da parte delle piattaforme) dei 4 candidati principali per singola città alle elezioni amministrative in programma il 3 e 4 ottobre 2021. A Milano: Beppe Sala, Luca Bernardo, Layla Pavone e Gianluigi Paragone. A Roma la ricerca ha riguardato Virginia Raggi, Carlo Calenda, Enrico Michetti e Roberto Gualtieri. Per Napoli, è stata misurata la presenza di Alessandra Clemente, Antonio Bassolino, Catello Maresca e Gaetano Manfredi. Il periodo considerato per la rilevazione dei dati va dal 26 agosto al 22 settembre, mentre per gli investimenti pubblicitari si sono messi a confronto i trend a partire da aprile 2019 e la settimana dal 16 al 22 settembre. Grazie all’elaborazione di indicatori propri, abbiamo potuto comparare i candidati delle 3 città, ricavandone una classifica nazionale.
Elezioni amministrative di Milano: l’inesistente campagna social
Nessun candidato sindaco di Milano ha effettivamente svolto attività tradizionale di campagna elettorale sui social media in vista delle prossime elezioni amministrative. Ad eccezione di chi poteva già vantare un seguito social, ovvero Beppe Sala e Gianluigi Paragone, l’incremento della presenza digital è pressoché inesistente. A determinare il risultato c’è la tarda designazione dei candidati a ridosso delle elezioni, che non ha consentito di sviluppare alcuna strategia ai competitor del sindaco uscente. Sala, infatti, ha potuto agevolmente proseguire nel suo ritmo comunicativo, sia in termini di densità che di tipologia di contenuti. Facebook è l’unico luogo di attività, Twitter è prossimo allo zero, salvo candidati-personaggi che erano già attivi e hanno mantenuto il ritmo. Instagram è interpretato come “dovere”: la presenza è per lo più di facciata, molto lontano dal centro delle operazioni. Non c’è costruzione strategica nella gestione del canale, né risultati apprezzabili capaci di spostare gli equilibri.
Beppe Sala
Un estimatore di Instagram, dove posta foto che ammiccano allo stile della piattaforma. Gode di un’ampia community che ha costruito nel tempo e verso la quale riesce a realizzare un buon engagement. Di campagna elettorale, tuttavia, c’è ben poco. Quasi tutti i contenuti sono di rendiconto di eventi e mai programmatici, per un profilo del tutto votato al personal branding e di scarso valore informativo per gli elettori. Non fa di meglio su Twitter, dove un’ottima community non basta a convincerlo all’azione. Solo 8 post nel periodo considerato che lo rendono un canale inutilizzato e irrilevante ai fini della campagna elettorale. Su Facebook, che appare la piattaforma preferita da tutti i candidati, Sala si tiene in linea con i trend precedenti, senza variazioni. Un po’ come dire che per lui la campagna per le elezioni amministrative non esiste. Semi vero perché, in realtà, sono gli avversari a non esistere.
Luca Bernardo
Vedi alla voce: candidato inesistente. Luca Bernardo appare lontanissimo dalle logiche di comunicazione digitale: apre un profilo Facebook e lo fa autenticare (spunta blu), ma poi non lo usa. Si rannicchia in un profilo privato dove circa mille followers sono tutta la platea che ha a disposizione. Stesso copione su Instagram. Ci prova con maggiore fervore su Twitter dove sconta il medesimo problema di una piccola nicchia che sta ad ascoltarlo. Significativa anche la rinuncia alla moderazione delle crisi. Nelle settimane di campagna elettorale, Bernardo è stato nell’occhio del ciclone più di una volta, dalla pistola in corsia alla fuga dell’audio minaccioso verso i partiti della coalizione. In nessun caso ha tentato di arginare o cavalcare l’onda del proprio trend topic. Eppure di interazioni su questi temi se ne sono generate a migliaia.
Layla Pavone
Scende in campo da professionista del digitale, ma in così poco tempo nessuno può fare miracoli. Pavone sconta uno dei problemi più macroscopici del rapporto tra elezioni e comunicazione digitale: il tempo. Perché si può elaborare una strategia più o meno buona, ma comunque non si fa in un mese. A Milano è quella che mostra più il pallino del candidato, verrebbe da dire che è l’unica che si sente realmente in campagna elettorale. Ritmo aggressivo su Facebook, meno sulle altre piattaforme. Usa i video, sa individuare i contenuti che possano scaldare di più la platea. L’engagement, infatti, è elevato, peccato che si realizzi su community ovunque esigue. La sensazione è che se avesse potuto cominciare prima sarebbe stata una spina nel fianco dei candidati delle coalizioni maggiori.
Gianluigi Paragone
Il fuoriclasse della comunicazione digitale è lui, ma crediamo non sappia di essere candidato sindaco di Milano. Pubblica a ritmi marziali e fa sfoggio di professionismo nell’opinione making. Ha tutti i numeri che gli servono per sparigliare le carte, ma Milano è un soprammobile. Parla (tanto) di No-Vax e Green Pass, poco o affatto di urbanistica, sicurezza, edilizia scolastica, animali, verde o qualsiasi altro tema che somigli anche lontanamente ad un affare tipico di un Ente locale. La corsa per le elezioni amministrative lo appassiona talmente poco che non ci spende neanche su. Sebbene, infatti, da aprile 2019 abbia messo sul piatto delle Adv quasi 100mila euro, la puntata su una settimana di campagna elettorale è appena 800 euro. O sapeva di non avere buone carte, o sta giocando un’altra partita, perché la perizia dimostrata sui social media da Paragone non ammette il dubbio dell’errore.
Elezioni amministrative di Roma: vera battaglia social, ma pochi risultati
È la Capitale d’Italia e i romani sembrano doverne pagare il prezzo. Perché nel calderone di post scoppiettanti, con ritmi di palleggio tra i candidati da far impallidire, dei temi tipici delle elezioni amministrative si trovano poco. Roma sembra essere terreno di guerra politica nazionale più che locale, come fosse una comunità territoriale a sé. Il quartetto dei pretendenti al Campidoglio viaggia su una media di 5 post al giorno, che fanno 135 in un mese, soprattutto su Facebook, ma proiettando una tenzone nazionale che si dimentica di rifiuti, cinghiali e tombini intasati. Da una analisi precedentemente realizzata per Wired, avevamo scoperto che i cittadini di Roma avrebbero voluto che si parlasse di lavoro e cultura. Desiderio inevaso a favore di un almeno un paio di inquilini prestigiosi: qui, infatti, risiedono Governo e Parlamento. E forse è un’occasione persa.
Virginia Raggi
Quasi 1 milione di follower guadagnati nel tempo, ma nessuna fluttuazione significativa in periodo di campagna elettorale. Ha l’onere di corrispondere i gusti della basa grillina, dove in molti sono ancora leoni da tastiera appassionati di attacchi e baruffe. Per questo i contenuti dedicati agli spazi pubblici languiscono (in frequenza, ma anche in interazioni). Ponendola a raffronto con il collega di Milano si vede come le due città siano lontanissime in termini di campagna social: 168 post Instagram di Raggi contro gli 31, appena, di Sala. Del resto, la sindaca uscente deve tenere il passo di un competitor, Calenda, che non sa cosa sia non esprimere un pensiero sui social. Si adopera, ma l’attività non ha ripercussioni sull’acquisizione di nuovi adepti. La Raggi sembra puntare alla conferma di chi già la seguiva, con la speranza che il like possa significare un voto per le prossime elezioni amministrative.
Carlo Calenda
Il nutrito team dedicato alla comunicazione digitale si vede e si sente. Non soltanto perché Calenda l’ha mostrato pubblicamente in un post, ma perché al di là dell’ottima community in termini di numeri, il candidato ha centrato un posizionamento chiaro e ben rappresentato. Rimane caratterizzato da una connotazione politica nazionale, il che si ripercuote sulla qualità della campagna ai fini dell’informazione della cittadinanza. Si spiega forse così l’inesistente variazione di follower e la tiepida risposta degli utenti. Da un lato, i suoi seguaci potrebbero non risiedere a Roma e i romani potrebbero vederlo troppo distante, più sull’Olimpo nazionale che nei vicoli e nelle borgate. A riprova dello scollamento, i bassi numeri di interazioni sui post dedicati ai temi strettamente amministrativi di gestione della città. Insomma, Calenda c’è, ma per quale corsa?
Roberto Gualtieri
Partendo da zero è maggiormente probabile realizzare una crescita importante. Più difficile arrivare dove sta chi ha avviato la macchina anni prima. Gualtieri, come Pavone a Milano, sconta il poco tempo a disposizione, ma in quello in cui ha potuto lavorare ha macinato numeri. Su Facebook ottiene il tasso di interazione più elevato e su Instagram fa registrare una crescita portentosa in termini percentuali della fanbase. Ma qualsiasi progresso fa i conti con community comunque piccolissime, più consone a una città di medie dimensioni che a una con quasi 3 milioni di abitanti. Con qualche mese in più a disposizione, Gualtieri avrebbe forse potuto fare la differenza in queste elezioni amministrative. Da segnalare anche il dato in advertising perché è lui, con 4.256 euro, ad aver investito maggiormente dal 15 al 21 settembre, superando anche Calenda (2.958 euro).
Enrico Michetti
Con appena 70 post su Facebook, la metà e anche meno degli altri candidati, è l’aspirante al Campidoglio meno attivo sui social media. Riesce a registrare un buon risultato di interazioni, che su community così esigue mette in luce quanto siano in realtà composte da fedelissimi. Ha scelto di adottare uno stile molto asciutto nelle didascalie, in netta dissonanza con tradizione più prolissa dei suoi interventi pubblici. L’intera strategia di comunicazione si scontra con gli scarsi numeri delle fanbase e per quanto anche lui, partendo da zero, ha assistito ad una crescita dei followers, è lontanissimo dai competitor Raggi e Calenda. Del resto, per queste elezioni amministrative ha investito anche poco: 1.924 euro in una settimana che è il terzultimo risultato soltanto perché Virginia Raggi ha scelto di evitare la strada delle Avd.
Elezioni amministrative di Napoli: il maggior impatto ma è potenziale inespresso
Popolazione numerosa, ma community social piccole, almeno quelle messe in piedi dai 4 principali candidati. Alessandra Clemente, Antonio Bassolino, Catello Maresca e Gaetano Manfredi non fanno in 4 la platea alla quale possono rivolgersi, ad esempio, Sala e Paragone a Milano, o Raggi e Calenda (persino quasi Michetti) a Roma. Eppure, almeno per due di loro (Manfredi e Maresca) il mezzo funziona: quando postano, le interazioni sono alte, e nelle prime settimane di campagna i nuovi follower sono arrivati in (relativa) massa. Un’attività facilitata anche dalla domanda di temi e argomenti che, analizzata da DeRev per Wired, aveva messo in luce come bastasse parlare di identità, cultura e lavoro per centrare gli interessi dei cittadini. Alla fine si registra qui il maggior impatto che sia realizzato in campagna elettorale, che sarebbe potuto essere dirompente con un po’ più di tempo e strategia.
Gaetano Manfredi
Quasi 3 post al giorno su Facebook, ma del tutto in linea con la presenza precedente. Si rivolge a community nutrite ma non esplosive e, soprattutto, di recentissima costituzione. Qui sta il maggior punto debole della strategia di comunicazione digitale di Gaetano Manfredi che ha puntato tutto sul livello di engagement, dimenticando di infoltire le fila di chi potesse ascoltarlo. Manca di investimento pubblicitario (appena 323 euro in una settimana) e non realizza il potenziale che la strategia lascia trapelare. Nello sprint riesce meglio di tanti altri e anche nell’aderenza ai temi cittadini, ma la riuscita dello stile comunicativo risulta inespressa. Ad averlo infastidito anche la definizione delle candidature a supporto, in particola modo sul fronte delle liste civiche, che non sono state gradite da buona parte dei follower.
Catello Maresca
Si potrebbe definirlo il bomber che gioca nella squadra sbagliata e, per questo, non pienamente nelle condizioni di fare la differenza. La qualità però c’è perché Catello Maresca vince la sfida nazionale per interpretazione del periodo pre-elettorale. Le community social sono tutt’altro che nutrite ma stupiscono i livelli di interazione molto alti. Sceglie temi populisti e incassa consensi, almeno sullo scenario digitale. Al centro delle polemiche per la mancata presentazione delle liste nei tempi previsti, con accuse di violazione dei principi democratici al TAR, che pesano di più se indirizzate a un ex magistrato, si è visto inondato da articoli dedicati che hanno generato circa 10mila interazioni orientate al dileggio. A Napoli è quello che ha speso di più in advertising (2.443 euro), che non sono molti ma hanno sicurante aiutato soprattutto per raffronto alle scelte (pressoché inesistenti) degli avversari.
Antonio Bassolino
Non è un uomo da social, ma ha il merito di aver concepito l’idea di provarci nonostante sia figlio di un’epoca in cui le campagne elettorali erano tutte a strette di mano. La sua frequentazione dei social media è un puro atto di adeguamento ai tempi e risulta ponderata su Facebook, ma quasi inesistente su Instagram dove probabilmente crede non risiedano i suoi elettori. Viceversa, vanta la community più nutrita su Twitter che però non sfrutta. La totale assenza di investimento in advertising è la riprova della presenza per dovere: Bassolino probabilmente continua nei fatti a stringere mani, non fidandosi del potenziale dirompente di una buona strategia comunicativa.
Alessandra Clemente
È il caso più appariscente, per età e per storia. Pur essendo un candidato giovane, già volto dell’amministrazione De Magistris, non eccelle nella tenuta dei social media. Tutto il contrario di quello che ci sarebbe potuti aspettare. Registra bassi tassi di engagement (il più basso di tutti, fatta eccezione per Bassolino) su community che non hanno tenuto il ritmo di crescita di una notorietà locale di stampo amministrativo. Ha investito molto poco in campagne pubblicitarie online (appena 793 euro) nella settimana campione e messo in scena un’attività social equilibrata, quasi mordendo il freno. Potrà forse contare in nicchie di consenso accumulate negli anni di governo, ma certamente non ha lavorato per ottenere una maggiore penetrazione, almeno dal punto di vista digitale.
La classifica nazionale secondo DeRev: due sole sufficienze (e non scontate)
Per favorire una lettura (e un’evoluzione) dei dati raccolti, abbiamo elaborato degli indicatori che potessero rendere confrontabili le esperienze digitali delle tre città.
- Community (voto 0-10) – Aumento o diminuzione dei follower, a prescindere dal numero assoluto della fanbase.
- Posizionamento Valutazione della presenza quantitativa (presidio o meno) sui diversi canali social, in scala non omogenea per il differente rilievo delle diverse piattaforme nell’ambito della campagna elettorale. (Voto FB 0-3, Tw 0-1, IG 0-1).
- Frequenza (voto 0-5) – Numero di post prodotti e pubblicati rispetto alla media di tutti i candidati impegnati nella medesima città.
- Impatto (voto 0-10) – Capacità dei contenuti di stimolare gli utenti alle reazioni e al dialogo online, in scala non omogenea per il differente rilievo delle diverse piattaforme nell’ambito della campagna elettorale (Voto FB 0-6, IG 0-2, Tw 0-2)
Conclusioni
Le prossime elezioni amministrative sconteranno la difficoltà per molti partiti di individuare i candidati che ha precluso ai prescelti la possibilità di giocare una reale partita sui social media. Chi ha potuto avvantaggiarsi di rendite di posizione, perché già in politica, non è stato incentivato a fare qualcosa in più perché si è trovato nella comodità di potersi solamente difendere, con il risultato complessivo di una sottovalutazione del mezzo digitale. In un’epoca in cui il ricorso al web è sempre più diffuso, l’arretratezza della politica si è trasformata in danno per gli elettori. Un’informazione veicolata online, infatti, ha il pregio di essere maggiormente efficiente perché orientata direttamente al target, ma è anche uno strumento di empowerment e abilitazione della cittadinanza. La comunicazione diffusa amplia la conoscenza e permette di esercitare il diritto al voto sulla base di una consapevolezza basata su programmi e idee. Questa, oggi, è un’occasione persa.