Sulla definizione di “politicamente corretto” Treccani scrive: “L’espressione angloamericana politically correct designa un orientamento ideologico e culturale di estremo rispetto verso tutti, nel quale cioè si evita ogni potenziale offesa verso determinate categorie di persone. Secondo tale orientamento, le opinioni che si esprimono devono apparire esenti, nella forma linguistica e nella sostanza, da pregiudizi razziali, etnici, religiosi, di genere, di età, di orientamento sessuale o relativi a disabilità fisiche o psichiche della persona”. Anche nella comunicazione digitale si applica per evitare che qualcuno si senta offeso o discriminato per il tema trattato, il linguaggio, le immagini. Bisogna quindi creare una comunicazione che veicoli il brand attraverso un contenuto che non urti la sensibilità del pubblico e non lo faccia sentire insultato. È possibile farlo creando un mondo narrativo quanto meno discriminatorio possibile, come peraltro recitano le best practice del marketing inclusivo.
Come è cambiata la sensibilità secondo il rapporto del Censis 2024
Un capitolo dell’ultimo report del Censis sugli italiani e la comunicazione è dedicato al politically correct. Cambia la sensibilità e si presta molta più attenzione al modo con cui vengono definiti comportamenti, preferenze, aspetti fisici, identità di genere o etniche. L’opinione pubblica è in gran parte concorde nel pensare che sia necessaria una regolamentazione nell’uso del linguaggio da parte dei media. Il 76,8% ritiene che ce ne sia bisogno per le espressioni riguardanti l’aspetto fisico (persone sovrappeso, obesi, persone con disabilità e altri casi simili). Il 74% per quando si parla sia delle differenze religiose che di genere. Il 73,7% nel caso dell’orientamento sessuale, il 72,6% dell’identità di genere e il 72,5% delle differenze etniche e culturali. In generale il 75,8% pensa che i media non dovrebbero mai usare espressioni che da alcune categorie di persone possono essere ritenute offensive o discriminatorie.
I temi, le immagini, il linguaggio
Sulla sostanza del contenuto è più facile trovare dei binari di riferimento, escludendo argomenti notoriamente sensibili o che lo sono diventati nel tempo. Sul linguaggio, invece, i confini sono più delicati e sfumati. Ci sono diverse situazioni in cui si rende consigliabile stare attenti a rientrare nei margini del politicamente corretto.
1. I temi sensibili
Ci sono sempre stati dei temi sensibili, basti pensare che è buona norma che nelle conversazioni non si tocchino mai la politica o la religione. Se questo è ormai assodato, su altro è necessario che i brand si confrontino con delle sensibilità che cambiano. Parliamo per esempio di temi di genere o di quelli legati alla diversità nel senso più ampio possibile (abilismo, razzismo, canoni di bellezza). Un ascolto della Rete, in questo senso, anche oltre il proprio target specifico, dà la misura delle inclinazioni culturali contemporanee.
2. Il linguaggio
Quando parliamo di linguaggio intendiamo qualsiasi codice comunicativo attraverso il quale è inviato un messaggio. C’è il linguaggio scritto, quindi, che nel mondo del politicamente corretto deve evitare parole o espressioni sgradite. Ma anche il linguaggio visivo, in video e immagini, che allarga lo spazio del rischio. In questo ambito, infatti, non conta soltanto come è mostrato il soggetto protagonista, ma anche l’accostamento di altri elementi o il contesto in cui è inserito. Occorre quindi ampliare il raggio di attenzione, cercando non soltanto di evitare errori, ma anche strategicamente di trarre vantaggio dal politicamente corretto. Se per un servizio B2B mettiamo in grafica o in foto un uomo, rischiamo l’indignazione degli utenti. Se mettiamo una donna, cavalchiamo una battaglia di genere e ce ne facciamo portatori. Ma se a questa accostiamo una parola o un soggetto che rispondono alla tradizione patriarcale, ecco che avremo generato il disastro.
Il pericolo del linguaggio umoristico
In questo nostro articolo sull’ironia nella pubblicità vi avevamo raccontanto che recentemente le tendenze prediligono contenuti umoristici. Questi si rivelano più utili al coinvolgimento dell’audience, con una comunicazione meno tradizionale e più inaspettata. Usare l’umorismo, però, non è un percorso facile, soprattutto nel campo del politicamente corretto. Per sua stessa natura, infatti, l’ironia si muove spesso sul confine del politicamente scorretto. A volte lo fa anche per abbattere stereotipi. Andare oltre il bon ton, in direzione contro intuitiva e socialmente poco decodificata fa di per sé ridere e crea senso di comunità e appartenenza. In questo caso, però, essere consapevoli della correttezza politica e del suo valore non è per forza uno svantaggio per la creatività. Può essere un modo per ricalibrare la comunicazione, trovare comunque un linguaggio umoristico e percorrere la strada in modo più sicuro.
Il perimetro del politicamente corretto
La domanda è quindi: dove è possibile tracciare il limite tra politicamente corretto e politicamente scorretto, e cosa significa per chi fa comunicazione e marketing? Ecco una piccola un paio di fondamenta per orientarsi:
1. Conoscere il proprio pubblico – Più la platea è vasta e il target generalista, più bisognerà rispettare il politicamente corretto in senso ampio, in modo molto democristiano. Se, invece, abbiamo un pubblico profilato, e per questo noto, potremo permetterci di osare in base a ciò che sappiamo accetterà.
2. Conoscere i mezzi e i modi – I social favoriscono la polarizzazione, allevano haters e covano spesso rabbia, intolleranza e insofferenza. Ecco perché osservare il politicamente corretto è qui più difficile che altrove, perché una reazione avversa sarà immediata e immediatamente espressa. Inoltre, vivono di trend e ciò vale anche per ciò che colpisce e urta. Per utilizzarli a dovere, occorre conoscerli e presidiarli analiticamente.
Altre regole di base:
- Stare sempre attenti (molto attenti!) a non discriminare etnia, sesso, aspetto fisico, preferenza di genere, classe sociale, religione e credenze. Sia quando si maneggia l’idea per un contenuto, sia nello sviluppo del suo linguaggio che in quello del suo immaginario.
- Raddoppiare l’attenzione quando si sceglie di lavorare su una campagna di comunicazione o pubblicitaria che punta sulle emozioni. Le emozioni sono diverse, volatili e mutabili, in base agli individui, ai contesti, ai tempi, alla cultura. Ci si espone, quindi, a sensibilità delicate.
- Studiare il mercato di riferimento. Un’analisi socio-demografico può aiutare a capire come rivolgerti. Qual è la scala di valore di riferimento del tuo target, quali i temi più sensibili, quali linguaggi prediligono, a cosa sono suscettibili.
- Fare brainstorming ed essere aperti anche a posizioni opposte e contrarie, valutandone nel merito i pro e i contro. La revisione permette di considerare punti di vista diversi e diminuisce così le probabilità di incappare nel politicamente scorretto.
Le critiche mosse al politicamente corretto
Tra gli osservatori e tra il pubblico, c’è poi chi pensa che il politicamente corretto sia artefatto. Almeno per come è concepito oggi dal marketing, dal settore pubblicitario e più in generale dal mondo dei contenuti di intrattenimento. Secondo loro verrebbe utilizzato solo per compiacere il pubblico e assecondarlo, con un certo cinico mestiere. Sarebbe dunque strumentalizzato dai brand e dalle aziende per un unico scopo: fatturare. Certo, può accadere. Per ovviare a questo problema, è necessario che un brand creda nei valori che lo determinano e che lo animano, accordandosi al concetto più ampio di responsabilità sociale. Ciò significa che assolutamente evitato il woke washing, cioè la pratica di sfruttare temi di attualità sociale per un marketing propinato come attivismo. Esattamente come accade per il greenwashing, il pubblico prima o poi se ne accorge, e allora i danni sono dietro l’angolo.
Il politicamente corretto nella strategia di comunicazione
L’attenzione per il politicamente corretto può essere un semplice dato della comunicazione, oppure una tattica deliberata. Nel primo caso, delimita lo spazio di espressione, connotandolo della sensibilità propria del target. Nel secondo caso, è una leva che viene inserita tra altre nella strategia complessiva. Sempre, però, è fondamentale partire dalla conoscenza della propria community, ascoltarla e affidarsi a chi fa analisi sulle conversazioni in Rete e sul sentiment correlato ai vari temi. Questo tipo di monitoraggio è utile sia a capire in che direzione andare, sia per evitare quelle sbagliate.