I contenuti di pubblicità politica sui social hanno i minuti contati? Sembrerebbe di sì, con l’entrata in vigore del Regolamento UE dal titolo “Transparency and targeting of political advertising” (TTPA). Approvata nel 2024, si tratta della normativa volta, tra le altre cose, a controllare maggiormente le social ads legate a messaggi politici. Le reazioni delle Big Tech non hanno tardato ad arrivare. In particolare, quella di Meta, che ha deciso di dare uno stop totale alle inserzioni a contenuto politico e sociale. Questa scelta netta priverà leader e partiti di uno strumento di comunicazione cruciale, costringendoli a rivedere quasi completamente le proprie strategie di comunicazione web. Ecco più precisamente quali scenari potrebbero prefigurarsi ora.
1. Il ritorno dell’organico
Non potendo raggiungere in modo capillare e mirato i cittadini attraverso annunci a pagamento, aumenterà l’importanza del contenuto organico. I politici, cioè, non potranno fare pubblicità politica, ma dovranno riuscire a creare contenuti capaci di diffondersi in maniera naturale. Scomparendo il microtargeting, che permetteva di calibrare messaggi diversi per categorie specifiche, dovrà necessariamente crescere il numero di contenuti pubblicati, per compensare il calo di copertura. Soprattutto, l’engagement, il coinvolgimento della base di sostenitori e militanti, diventerà la metrica più importante, perché in base a esso l’algoritmo amplierà la reach. Utile sarà la produzione di post emotivi, polarizzanti o comunque con la vocazione a generare reazioni e discussioni. Inutile dire che il rischio sarà quello di una spinta esasperata verso contenuti populisti, e dunque di un’ulteriore radicalizzazione del discorso pubblico.
2. No alla pubblicità politica, sì alla personalizzazione
L’algoritmo di Instagram e Threads penalizza di default i contenuti politici, a meno che l’utente non decida esplicitamente di vederli. In pratica, senza la possibilità di fare pubblicità politica, gli account del settore avranno zero chance di raggiungere nuovi utenti. I leader concentreranno gli sforzi sui canali personali, a scapito delle pagine ufficiali di partiti o movimenti. Qui, infatti, hanno modo di comunicare direttamente con i cittadini senza il filtro dei media, trovando più facilmente argomenti e scelte lessicali che aggirino la classificazione” politica” da parte dell’algoritmo. In termini generali, si privilegerà un approccio narrativo e personale, con racconti di vita quotidiana, immagini di backstage istituzionale, commenti a trend e notizie di attualità. Assisteremo così al consolidamento del “politainment”, con meno dibattito su programmi e policy (e conseguente svuotamento dei messaggi) e più attenzione al personaggio.
3. Community ed engagement al centro
Senza pubblicità la politica sui social dovrà avere un occhio di riguardo per il community management, se vorrà tenere vivo l’engagement. Alcuni già oggi si servono di canali Telegram e WhatsApp, ma le nuove strategie dovranno prevedere un’attività costante per incentivare il dialogo diretto. Un grande impegno andrà messo nel rispondere ai commenti, partecipare alle conversazioni, organizzare dirette streaming e interagire con giornalisti, opinionisti e persino avversari politici. In buona sostanza, la community diventa la nuova macchina elettorale.
4. Altre piattaforme in ascesa
La restrizione di Meta apre spazi al presidio di piattaforme alternative, finora meno battute. Ad esempio, diventerà indispensabile essere presenti e attivi con contenuti dedicati su TikTok, già centrale tra i più giovani. Qui la pubblicità politica è già vietata, perché si ritiene che questo tipo di annunci “non si adatti all’esperienza di TikTok”. In compenso, i contenuti organici di argomento politico o sociale non hanno limitazioni.
È probabile anche che si assisterà a un ritorno su X, unica tra le grandi piattaforme che continuerà a consentire le ads politiche nell’UE. Il social di Musk non ha rilasciato commenti in merito alle normative, ma secondo le sue linee guida gli inserzionisti sono responsabili di rispettare tutte le leggi locali. Comunque sia, X diventerà la sola alternativa su cui investire budget pubblicitari in campagna elettorale.
Cresce anche l’importanza di LinkedIn, dove i leader più lungimiranti sono già presenti a dialogare con stakeholder economici, professionisti e imprese. La piattaforma confermerà il suo ruolo cruciale per intercettare questa parte dell’elettorato.
Infine, attenzione a YouTube: il social di Google ha fatto la stessa mossa di Meta, ma è possibile che i politici apriranno canali personali. Sulla scia dell’utilizzo ampiamente diffuso negli Stati Uniti, YouTube potrebbe essere sfruttato per format lunghi di approfondimento o per trasmissioni in diretta. Questo anche grazie alla sponda di creator esplicitamente schierati o di divulgatori di settore.
5. Il ruolo degli influencer per la pubblicità politica
A proposito di creator e ambassador, crescerà il loro peso come canali indiretti di pubblicità politica, per ottenere visibilità presso nuovi target. I leader di partito si mostreranno più disponibili a farsi intervistare nei podcast e a partecipare a video su YouTube, e assisteremo a endorsement espliciti da parte di influencer. Sarà particolarmente importante la formazione da parte dei partiti di micro-influencer e attivisti digitali con community piccole, ma fidelizzate. Grazie a loro, il messaggio politico potrà penetrare in pubblici nuovi, attraverso format che il pubblico percepisce come autentici e meno istituzionali.
6. Rafforzamento dei canali proprietari
Viene da sé che, se i social media non supportano la pubblicità politica, i partiti dovranno affidare a canali proprietari la comunicazione più esplicita. Per non dipendere dalle piattaforme, considerata l’aleatorietà dei perimetri data dalle scelte sulla scorta di novità normative, si rafforzeranno presidi come siti web, newsletter e CRM utili a gestire dati e segmentazioni. Come accennato, aumenteranno anche i canali Telegram e WhatsApp per la comunicazione diretta. Tutti strumenti che permettono di mantenere il controllo del rapporto con i cittadini, senza essere soggetti alle decisioni unilaterali delle Big Tech.
7. Utilizzo dei ruoli istituzionali
Non soltanto il candidato, ma anche chi già ricopre incarichi istituzionali potrà sfruttare i propri canali personali come principale strumento di comunicazione. È una dinamica già osservata: leader che spostano visibilità dai canali ufficiali degli enti alle proprie pagine, trasformando l’incarico in un acceleratore di engagement e follower. Prima, lo spostamento della pubblicità politica dai canali social di Ministeri e Regioni a quelli personali significava creare un vantaggio competitivo personale che rimanesse anche dopo la fine del mandato. Oggi, restando fermo questo vantaggio, l’eliminazione delle social ads diventa l’unica scelta possibile.
8. Strategia di lungo periodo
Il divieto di fare pubblicità politica rende vana la “riattivazione” di account dormienti soltanto in prossimità del voto (attività ancora diffusa, per quanto poco efficace). Per i candidati diventerà cioè ancora più difficile costruire la comunicazione elettorale senza un posizionamento pregresso. Sarà indispensabile un lavoro continuativo di personal branding. Infatti, chi non costruisce visibilità e credibilità nel tempo rischia di non avere spazio quando la campagna elettorale entra nel vivo.
Come fare pubblicità politica, senza social ads
Il personal branding sarà la chiave della comunicazione social dei leader, ora che pubblicità e politica non potranno più andare a braccetto in maniera esplicita. Ma come spiegato, occorrerà anche armarsi di pazienza e lavorare sul lungo periodo, con pubblicazioni e interazioni frequenti e continuative. Mantenendo sempre un occhio sulle novità degli algoritmi, inclusi gli adeguamenti alle normative internazionali.
Quello che prima era un consiglio strategico diventa un imperativo strategico, e oggi più che mai la politica avrà bisogno di specialisti della comunicazione.