I social media, nati con l’iniziativa imprenditoriale di Mark Zuckerberg nel 2012, in venti anni sono cambiati molto e hanno cambiato anche la società e il nostro modo di relazionarci. La prima grande rivoluzione che hanno realizzato è stata quella di attribuire a ciascuno di noi un’identità digitale che coincide in tutto o in parte con quella reale. Prima di allora, nell’universo della Rete, lo spaccato offline e quello online erano due mondi distinti, ciascuno caratterizzato da un’identità propria. Facebook, per la prima volta, li ha uniti, costringendo tutti noi a identificarci online con l’identità reale. I social network, dunque, hanno fatto due cose: hanno connesso globalmente la popolazione, superando la costruzione dei gruppi sulla base della conoscenza pregressa a favore della concentrazione sulla base degli interessi; e hanno dotato gli individui di una doppia dimensione accomunata dalla stessa identità.
L’abitudine ai social media
L’ultima stima disponibile ci dice che sui social media c’è il 59% dell’intera popolazione mondiale. È un bacino importante di persone che hanno stabilmente preso confidenza con la coesistenza di due dimensioni, affinando anche le tecniche con cui padroneggiarle. Negli anni, infatti, si è diffusa una maggiore perizia nell’utilizzo delle piattaforme, favorita dalla crescita dei nativi digitali e di chi ha assistito al debutto e all’espansione dei social network in una fase della vita in cui sono ancora particolarmente spiccati la curiosità e la propensione alla scoperta e all’apprendimento. Questa familiarità con le piattaforme social, tuttavia, non è sufficiente per sfruttarle con fini di promozione o professionali: basta per pensarci nell’ambiente digitale in maniera superficiale, fruire dei contenuti, muoverci all’interno delle piattaforme per reperire quello che ci interessa e pubblicare post domestici, finalizzati unicamente al racconto di sé in chiave privata.
L’utilizzo professionale
Per approfittare delle reali opportunità che ci offrono i social media abbiamo bisogno di una riflessione a monte, vale a dire di “costruire” la nostra identità digitale a tavolino. Che non significa mentire o trasferire un’immagine patinata e finta. Significa invece trovare il modo migliore ed efficace di raccontare se stessi, un progetto o un’azienda, cercando di fare in modo che l’idea che se ne fa un utente online sia esattamente quella che vorremmo si facesse. Siamo, quindi, a tutti gli effetti, nell’ambito di quello che si chiama un “atto comunicativo”. Costruire l’identità digitale vuole dire creare un personaggio, sia esso una persona reale o un brand, dotato di caratteristiche precise. Per farlo abbiamo bisogno di sapere due cose molto precise: qual è il nostro obiettivo, vale a dire perché abbiamo deciso di utilizzare i social media in maniera professionale, cosa intendiamo ottenere; e chi è il nostro target.
Costruire l’identità digitale: il ruolo del target
Degli obiettivi perseguibili con una strategia di comunicazione sui social media abbiamo già parlato. Qui ci basti annotarli come un elemento imprescindibile da tenere in considerazione. Affrontiamo, invece, il tema del target. Con questa parola intendiamo il pubblico che vogliamo raggiungere con la nostra comunicazione. La prima grande suddivisione, in termini teorici, riguarda il così detto target B2B, business to business, e quello B2C, business to consumer. Nel primo caso ci si rivolge alle aziende, o ai loro rappresentanti specifici in alcuni ruoli e funzioni, nel secondo direttamente agli utenti in generale della Rete che siano consumatori. Scegliere il nostro pubblico ci permette di andarlo a cercare sulle varie piattaforme.
Il pubblico sulle piattaforme social
Non tutti sono ovunque. Su Facebook, ad esempio, il 59,8% degli utenti è over 55 e l’età media è di 40. Instagram ha oltre il 50% di utenti che non supera i 35 anni e l’età media è di 25 anni. Su TikTok, il 66% degli utenti ha meno di 30 anni e la maggior parte è compresa tra i 16 e i 24 anni. Passando a una distribuzione in base al sesso, scopriamo che il pubblico di TikTok è a prevalenza femminile (54%) mentre piattaforme come Twitch e Twitter sono frequentate soprattutto da un pubblico maschile. Tutte queste informazioni le possiamo trovare in numerosi report. Tra questi anche quelli diffusi dalle piattaforme stesse, che sono trimestrali e spesso molto tecnici. Sapere tutto questo non ci serve soltanto per scoprire su quali piattaforme lavorare, ma anche proprio per creare la nostra identità digitale con cognizione di causa.
Obiettivo riconoscibilità
Il primo attributo basilare per l’identità digitale è comune a tutti e universalmente valido. Deriva dal fatto che il mondo dei social media è popolato di utenti e di contenuti, in un flusso continuo. L’obiettivo è quindi quello di favorire la familiarità in modo da avere più chance di emergere e – con il tempo – di poter fare affidamento sulla memoria delle persone. Per riuscirci, dobbiamo fare in modo di renderci riconoscibili. Gli elementi che determinano la riconoscibilità online non solo molto dissimili da quelli che caratterizzano le persone o le aziende offline, e sono fondamentalmente tre: il linguaggio, i valori e lo stile.
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Il linguaggio
Nella comunicazione digitale, il linguaggio fa il paio con il così detto tono di voce. Occorrerà domandarsi se sia opportuno essere informali, quanto e in che modo. Se si decide di farsi rappresentare da un lessico professionale o se si vuole puntare a farsi capire da più persone possibili. Ma bisognerà anche individuare il modo di parlare ai follower: funziona forse l’ironia, o è meglio rimanere neutri? Per scoprirlo basterà tornare a chiedersi chi è il pubblico in target, sapendo che è imperativo parlargli in un modo che possa capire. È molto probabile che si sceglierà di essere divertenti se ci si rivolge a dei ragazzi, ma posati e affidabili se il pubblico ha un’età avanzata.
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I valori
I valori sono importanti perché sono alla base della percezione che si vuole generare e del dialogo con i follower. Bisogna stabilire in cosa si crede e cosa si desidera che gli utenti sappiano. Nell’ecosistema digitale i valori hanno un posto privilegiato: se ben comunicati, e condivisi, sono molto apprezzati dalle community. Attenzione però a riempirsi la bocca di belle parole: il web non dimentica e gli utenti non sono soliti perdonare chi predica bene e razzola male. Quindi è doveroso essere coerenti con ciò che si dichiara, perché il rischio di essere smentiti nei fatti porterà a una vera e propria crisi di reputazione. Un’evenienza che accade molto spesso, ad esempio, con il tema della sostenibilità che incappa nel greenwashing.
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Lo stile
Come si parla, che tipo di abito (grafico o letterale), quali volti si decidono di proporre e con quali gestualità. Tutto quello che descrive un soggetto reale in un contesto sociale vale anche online. Sia che qualcuno ci metta la faccia, sia che si comunichi unicamente per immagini e grafiche, bisogna fare in modo di avere un tratto distintivo che già alla prima occhiata permetta di farsi riconoscere, creando una sorta di fil rouge tra tutti i contenuti. L’esempio più lampante è quello di Khaby Lame, che sul gesto distintivo ha addirittura esaurito un buon 80% di tutto il suo atto comunicativo.
Dall’identità digitale al posizionamento
Data la nostra identità digitale, il tipo di pubblico che ci interessa e l’obiettivo che intendiamo raggiungere, abbiamo gli elementi per stabilire il nostro posizionamento digitale. Che altro non è che l’insieme del: chi siamo, a chi parliamo, dove gli andiamo a parlare. Ciascuna piattaforma, infatti, è più adatta a uno scopo e meno ad altri; esattamente come un pubblico è più presente su un social media e meno (o per nulla) su altri. Si tratta di disegnare una mappa delle opzioni e tracciare l’esatto confine di ciò che ci serve. Può apparire semplice, ma non lo è. Primo, perché occorre un pensiero strategico di lungo periodo; secondo, perché è necessario conoscere le dinamiche dei social e le abitudini di comportamento degli utenti. In ultimo, perché le piattaforme cambiano continuamente funzioni, logiche e algoritmi. È qui che un partner esperto può fare la differenza.