Il marketing inclusivo è una delle più recenti e importanti evoluzioni del settore comunicazione. Alla sua origine c’è un cambio di mentalità, che interessa soprattutto la cultura occidentale. Un po’ come avviene per le tematiche di sostenibilità e responsabilità sociale, siamo più sensibili alla diversità e all’inclusione rispetto a pochi anni fa. L’attenzione a gruppi etnici e sociali solitamente meno esposti si sta facendo largo nella vita quotidiana, così come nelle strategie di comunicazione. Vediamo perché è importante partecipare al cambiamento in corso.
Cos’è il marketing inclusivo
Il marketing inclusivo è un metodo di sviluppo di progetti di comunicazione che punta a raggiungere un pubblico il più ampio e diversificato possibile. “Diversificato” è la parola chiave per non confondere tale metodo con il marketing generalista. Quest’ultimo, infatti, si esprime con l’approssimazione; un approccio che implica l’esclusione di dettagli, sfumature, eccezioni. È quello a cui siamo più abituati. Immaginando il pubblico come un prato fiorito, il marketing generalista lo raggiunge come un volo d’uccello. Il marketing inclusivo è l’opposto: parla sì a un target esteso, ma cercando di guardare ciascuno negli occhi. Come un’ape che, nello stesso prato, si sposti di fiore in fiore. Al cuore di questo approccio troviamo l’ascolto delle più svariate esigenze e lo studio di vissuti differenti.
Perché fare marketing inclusivo
Per decenni, la pubblicità ha dato voce a una fetta di società, percependola come rappresentativa di tutti, soltanto perché maggioritaria. Nel tempo, però, il pubblico è diventato più eterogeneo, e con Internet sono sorte nuove piazze accessibili anche a persone tradizionalmente prive di megafono. Gruppi identificati come “minoranze” hanno trovato nei social media un luogo dove farsi sentire. E, oggi più che mai, si sente l’esigenza di un marketing inclusivo, dove tutti si possano riconoscere. Secondo l’ultimo Diversity Brand Index, il 69,3% della popolazione è maggiormente propenso a scegliere brand più inclusivi. È anche provato che le tematiche DE&I (Diversity, Equity & Inclusion) incidono positivamente sulla crescita aziendale. Nello specifico, il gap dei ricavi di un brand inclusivo rispetto a uno non inclusivo può superare il 21% (a favore del primo).
Marketing inclusivo: gli step principali della strategia
1. Conosci te stesso
Sembra il mantra di un guru zen, ma è un imperativo fondamentale se desideri impegnarti in campo DE&I, soprattutto se hai un brand consolidato. È essenziale, infatti, ricordare che ci troviamo nel campo dell’etica e della morale, dove la coerenza fa la differenza tra una comunicazione efficace e una disastrosa. Accertati che il messaggio che intendi promuovere sia in linea con la tua brand identity e il tuo operato. Nessuno vuole sentire parlare di body positivity da un’azienda che ingaggia soltanto modelle pelle e ossa, o di diversità da un CdA di soli uomini bianchi. Un’inversione di rotta verso un marketing inclusivo è sempre auspicabile, ma va pianificata, affinché alle parole si accompagnino i fatti, sia all’interno che all’esterno dell’azienda.
2. Conosci il tuo target
La consapevolezza che nel proprio pubblico c’è (o potrebbe esserci) una categoria di persone che non ha mai rappresentato è il primo passo per esplorare il marketing inclusivo. Prima di diversificare i messaggi, però, è importante anche chiedersi quanto si sa del target cui si vuole dare voce. Una rappresentazione distorta, infatti, è quasi peggio di una non-rappresentazione, perché il tentativo di inclusione è percepito come pigro, poco autentico e quindi offensivo. Capita, quando l’impegno in ambito DE&I nasce come semplice rincorsa di un trend per aumentare i guadagni. Le manifestazioni insincere di supporto a questi valori sono talmente diffuse che gli utenti hanno ideato alcuni termini per definirle. Ad esempio, si parla di pinkwashing, purplewashing e rainbow washing per indicare messaggi falsamente allineati su empowerment femminile e parità di genere.
3. Trova la via più adeguata
Il marketing inclusivo si esprime in buona sostanza attraverso due vie. La prima è quella della rottura degli stereotipi, ossia l’impegno a dimostrare che non esiste soltanto A, ma anche B, C, D, e così via. In uno spot del 2019, ad esempio, Gillette raccontava la prima rasatura di un ragazzo transgender.
La seconda via è quella della “normalizzazione della normalità”. Essa consiste nel mostrare risvolti della vita quotidiana che solitamente sono esclusi dalle narrazioni pubblicitarie, non tanto perché poco diffusi, ma perché poco fotogenici. E, di conseguenza, poco aspirazionali. Fisici imperfetti, volti anonimi, professioni umili, situazioni noiose. Qualunque cosa stoni con la visione patinata della realtà tradizionalmente promossa da media come cinema e televisione. Un esempio di marketing inclusivo di questo tipo è quello della campagna 2021 di Veet “Yes we can”.
4. Attenzione a tono e linguaggio
In una strategia di comunicazione, i contenuti sono fatti tanto di immagini quanto di testi. Spesso la sola scelta di una parola al posto di un’altra è sufficiente a diffondere rappresentazioni distorte o messaggi offensivi. Promuovere un marketing inclusivo significa allora anche rivedere il linguaggio dei propri messaggi, per spogliarlo di qualsiasi pregiudizio o bias cognitivo. L’ascolto e lo studio di target diversi è fondamentale, poiché non di rado si tratta di errori involontari, dettati da semplice ignoranza. Pensiamo all’abitudine di indicare a prescindere come “donna delle pulizie” un qualsiasi collaboratore domestico, come sottintendendo che si tratti di un mestiere riservato alle donne. O di appellativi offensivi come “invalido” o “handicappato”, che nel tempo hanno lasciato il passo ad altri termini che non identificano la persona con una mancanza.
5. Garantisci l’accessibilità
Una comunicazione che si dichiara “per tutti” dovrebbe anche essere accessibile a tutti. Un aspetto importante (e spesso trascurato) del marketing inclusivo è proprio l’accessibilità: i mezzi digitali sono d’aiuto per raggiungere più persone, ma esistono comunque criticità. Pensiamo a un podcast che parli di DE&I e non metta a disposizione la trascrizione degli episodi per i non udenti. O a un brand che distribuisca in tutti i Paesi, ma comunichi esclusivamente in italiano.
Il tema dell’accessibilità digitale da parte di persone diversamente abili, in particolare, sta assumendo sempre maggiore importanza. L’AgID (Agenzia Italia Digitale) ha pubblicato delle linee guida in merito, cui le aziende sono tenute ad attenersi.
Tra i brand che si stanno adeguando si segnala Google. Oltre a premiare i siti con una buona UX, il motore di ricerca ha arricchito le schede di Google My Business con attributi riguardanti l’accessibilità e l’inclusività.
Esempi di marketing inclusivo
Il termine “marketing inclusivo” può voler dire molte cose, perché le diversità si manifestano in numerosi ambiti. Ecco alcuni esempi di campagne esistenti, riferite a differenti interpretazioni dell’inclusività:
- Età: con lo spot #Ageless diretto da Yorgos Lanthimos, TENA cerca di abbattere i tabù legati alla sessualità delle donne over 50;
- Etnia: la campagna “The Name” di P&G sensibilizza sulle diversità etniche per favorire l’integrazione;
- Identità di genere: il Proud Whopper di Burger King celebra un semplice concetto: “Dentro siamo tutti uguali”;
- Religione: Uber Eats celebra il mese del Ramadan con una campagna DOOH che segnala l’orario del tramonto nelle varie città;
- Disabilità: con lo spot “We All Win” Microsoft presenta l’Xbox Adaptive Controller, che permette ai bambini con disabilità di giocare alla console.
La perfetta strategia
Per promuovere un marketing inclusivo bisogna innanzitutto promuovere una cultura da cui potenzialmente nessuno si senta escluso, con sforzi che partono dall’interno dell’azienda. Se l’obiettivo è poi realizzare una campagna o un progetto specifico, invece, con ogni probabilità ci si troverà a fare una scelta tra le possibili declinazioni di cui sopra. I criteri, si diceva, li detta il brand stesso, con i propri valori, le proprie attività e le possibilità di mettere in pratica le buone intenzioni. Guardarsi allo specchio, tuttavia, non è così facile come sembra: ecco perché è importante cercare lo sguardo esterno di uno specialista del marketing. Oltre che, naturalmente, di qualcuno che viva in prima persona la complessità cui si vuole dare voce (se già non esiste in azienda).