Nell’epoca di web e social media ha ancora molto senso parlare di ufficio stampa e media relations. Sebbene gli ultimi anni abbiano reso evidente l’opportunità di una promozione self-made, attraverso la cura di canali proprietari, il ruolo degli intermediari autorevoli non ha perso il proprio peso specifico. L’efficacia di una strategia di comunicazione integrata si basa proprio su questo: il sezionamento del messaggio per affidare ai singoli canali lo spaccato più adatto perché possano diffonderlo secondo le proprie caratteristiche e logiche. Così, se al web e alle piattaforme social affidiamo l’incarico di amplificare, coinvolgere, generare conversioni e costruire relazioni tra brand e utenti, attraverso le relazioni con i media puntiamo a una solida costruzione di awareness. L’obiettivo è quello di ammantarsi di autorevolezza e affidabilità, da ricercare attraverso la legittimazione di un terzo, giornalista o testata, che ne gode da ben prima di noi.
La Rete rafforza le media relations
Non si tratta di un’attività fine a se stessa. Il lavoro di ufficio stampa e media relations ha una valenza progressiva. Quando una notizia nata in ambito aziendale trova riscontro sulle testate si raggiunge un risultato che si perfeziona soltanto nel tempo. La Rete, infatti, rappresenta un archivio pubblico, accessibile da chiunque e in qualsiasi momento, anche a distanza di molti anni. Con un’attività continuativa di media relations si riesce a dare vita a un album perenne, dove clienti, partner e stakeholder potranno rintracciare una storia che saranno portati a considerare particolarmente attendibile perché validata da terzi. Naturalmente, vale nel bello e nel cattivo tempo. Anche le notizie negative restano in Rete tanto quanto le positive. Un ufficio stampa, quindi, serve certamente per promuovere il brand, ma anche per limitare e contenere i danni di una narrazione che può, a volte, non essere in linea con i nostri desideri.
Cosa fa (o dovrebbe fare) un ufficio stampa
Il ruolo di un ufficio stampa è quello di cogliere gli elementi di notiziabilità all’interno dell’attività aziendale. Molti sono portati a credere che l’obiettivo sia unicamente quello di favorire la riconoscibilità di un brand o la notorietà dei suoi prodotti e servizi. In quest’ottica, vera ma limitata, ci si dovrebbe impegnare a dare visibilità a ciò che risulti più conveniente in termini economici e di business. Non siamo che a una parte della fatica, e spesso neanche quella più rappresentativa di un buon lavoro di ufficio stampa e media relations. La vera sfida sta infatti nel saper costruire una narrazione che di volta in volta sia vantaggiosa tanto per il soggetto parlante (l’azienda), quando per il ricevente (il giornalista) che per il destinatario finale (il lettore). Governare la filiera significa saper offrire spunti, elementi e notizie praticamente mai autoreferenziali e sempre orientati a soddisfare tutti i passaggi della catena informativa.
Creare la notizia significa creare valore
C’è un assunto di fondo che occorre sempre tenere a mente: a nessuno importa di te, fino al momento in cui non risulterai interessante. Il lavoro di ufficio stampa parte dalla costruzione della notizia, che raramente ricalca i confini esatti che un’azienda vorrebbe in un’utopia di perfezione. Da un punto di vista meramente interno, ciascuno è più o meno convinto che ciò che fa e ciò che produce siano cose fantastiche. Si tende a riconoscersi un valore oggettivo quando, invece, è il peso relativo a fare davvero la differenza. Come ti racconti, a chi e attraverso quali highlights rappresenta il vero raggio d’azione in cui muoversi, con professionalità e strategia. Il tutto da farsi in uno scenario molto particolare.
Lo scenario
Volendo sintetizzare le circostanze con le quali oggi un ufficio stampa deve fare i conti, dovremmo considerare almeno tre elementi:
- siamo in un’epoca caratterizzata dall’information overload. La moltiplicazione dei contenuti, favorita dalla fine della scarsità in termini di spazio e dal proliferare di occasioni di intercettare i destinatari di un messaggio, ha generato un’oggettiva difficoltà di emergere;
- gli interlocutori, giornalisti e editor, assolvono una funzione sempre più complicata perché sono chiamati a smistare un flusso notevole di input e a scegliere in uno scenario che anche per loro si configura come caratterizzato dall’information overload;
- si è massimizzata la tendenza a produrre contenuti non tanto in base al valore e al merito intrinseco degli stessi, quanto e sempre più in funzione dei gusti e degli interessi del pubblico.
L’unico modo per destreggiarsi e riuscire a infiltrare titoli e contenuti in linea con gli obiettivi di comunicazione è creare valore.
Come lavora (o dovrebbe lavorare) un ufficio stampa
La costruzione della notizia
Abbiamo avuto modo di notare che la regola d’oro per un buon lavoro di ufficio stampa è offrire a un giornalista ciò che chiede e che è, in definitiva, ciò che il lettore potrebbe apprezzare. Si parte, quindi, da un’analisi dei trend, non soltanto in termini di argomenti che vanno per la maggiore, ma anche da un punto di vista di stile e tagli. Fermandoci al qui ed ora, da un paio d’anni si è imposta una sorta di era dei numeri. L’esplosione dei dati digitali e la maggiore complessità della realtà da raccontare ha richiesto il soccorso di strutture di sintesi. La rappresentazione statistica è oggi un modo di presentare le cose e di ordinarle prima ancora del racconto e dell’interpretazione. Una buona notizia parte da qui, perché un’azienda ha spesso accesso a dati e ricerche di settore che possono essere utili, stimolanti o significativi per i giusti destinatari.
A ogni testata la propria news
Parlando di giusti destinatari abbiamo introdotto un punto fondamentale dell’attività di ufficio stampa e media relations. Questa espressione, “giusti destinatari”, presuppone che esistano target esattamente come in qualsiasi altra attività di comunicazione. È possibile che qualcuno creda che si lavori ancora con contenitori di indirizzi mail indistinti, e purtroppo è vero che c’è chi ancora pratica invii massivi di comunicati stampa. Non è sbagliato, è che è proprio inutile. Allo stesso modo, c’è chi è convinto che si possa posizionare una notizia grazie alle conoscenze e ai favori. Certamente, un professionista delle media relations fa del proprio network di contatti un punto d’onore, ma non per richiedere cortesie random, quanto proprio per riuscire a individuare quell’interlocutore giusto al momento giusto. Rientriamo quindi nel perimetro della strategia e dello studio, costante, dei modi per generare valore e riuscire così a governare la filiera.
Brand journalism: l’azienda al centro di ufficio stampa e media relations
Da un punto di vista organizzativo, un’azienda può ricorrere a un professionista per l’ufficio stampa e le media relations in modo continuativo o limitarsi ad attivarlo per singole campagne. Si tratta di funzioni molto diverse tra loro, che ambiscono a risultati altrettanto distinti. Con un’attività continuativa si riesce a costruire nel tempo un’identità aziendale di tipo pubblico validata da mediatori. Si realizza quindi quella presenza fatta di tappe, rimandi, ritorni ed evoluzioni tipica della scrittura di una storia. L’obiettivo non è, quindi, una singola uscita, ma la serialità in ottica di awareness e riconoscibilità. Al contrario, una singola campagna intende massimizzare un messaggio ed è quindi focalizzata sul cosa piuttosto che sul chi. L’azienda o il brand impallidiscono a favore di un occhio di bue proiettato su un messaggio specifico, sia esso un prodotto, un servizio o un risultato di business.
Esistono ancora le company news?
La risposta è: assolutamente sì, ma ad alcune condizioni e sono quelle che ci riportano al concetto strategico di “giusti destinatari”. Una company news di per sé è valida per chi tratta company news. Sembra lapalissiano, ma il gioco si regge se si conoscono le regole basilari. Da un punto di vista economico, o innovativo se del caso, ma anche in ottica del mercato o del lavoro, una company news è il pane puro delle testate e dei giornalisti che seguono i comparti produttivi. Fuori da questo perimetro, però, la company news smette di esistere a meno che non si trovi il modo di renderla interessante per il grande pubblico. Su un piano mainstream, dunque, parlare di sé funziona se è secondario rispetto al parlare di loro, dove loro sono gli utenti e i lettori. Non funzionerà, invece, se ci si incaponisce a parlare a loro.
Pubbliredazionali, branded content e notizie organiche
Scegliamo di non mettere in competizione le tre tipologie di collocazione di notizie. È un dato non trascurabile che, da un punto di vista di marketing, farsi pubblicare a pagamento abbia qualche vantaggio e che ne abbia decisamente meno in ottica di puro brand journalism. Ma la persistenza delle tre modalità merita l’approfondimento di ognuna. Soprattutto perché, ancora una volta, ciascuna punta a obiettivi diversi che vanno valutati strategicamente. Se vi capita di sentirvi dire che non c’è da preoccuparsi perché, in un modo o nell’altro, si otterrà la pubblicazione, sappiate che non va bene. E non va bene perché chi ve lo sta dicendo non sa, o non vuole ammettere, che un modo o l’altro hanno scopi molto diversi e non sono affatto intercambiabili.
Pubbliredazionali
Prendi un messaggio pubblicitario, confezionalo come fosse un articolo di giornale e paga per la messa in rete o la pubblicazione cartacea. Il flusso realizzativo di un pubbliredazionale è in sostanza questo e ha un unico punto di (debole) forza: il raggiungimento del lettore con un messaggio non mediato dalle logiche della gerarchia di notiziabilità. Il pregio finisce qui perché gli utenti sono diventati diffidenti, prediligono l’autenticità e hanno maturato una sorta di prurito istintivo per le comunicazioni commerciali che chiedono attenzione senza offrire nulla in cambio. La pratica non è morta, ma è da considerarsi desueta. È opzionabile esclusivamente se si ha fretta o c’è bisogno di un ritorno sicuro da mostrare nel brevissimo periodo.
Branded content
Tecnicamente, i branded content potrebbero essere considerati come l’evoluzione dei pubbliredazionali. Di fatto, sono lo stratagemma attraverso il quale le testate giornalistiche – o i blog e i media nativi digitali – gestiscono in modo contemporaneo le esigenze comunicative delle aziende. Alla base c’è un patto: l’azienda ha bisogno di dire delle cose, ma la testata giornalistica deve rimanere fedele al proprio ruolo, se non addirittura alla missione, e allora si trova un punto di incontro tra le necessità di business dell’una e di autorevolezza dell’altra. Il compromesso si chiama collaborazione: la testata mette a disposizione i propri giornalisti che hanno il compito di filtrare la notizia aziendale rendendola di valore per i lettori. Il tutto, ovviamente, a pagamento. Generalmente l’output è sotto forma di articoli sponsorizzati, ma ciascuna testata ha i propri layout deputati alla messa in evidenza di questo tipo di informazione.
Notizie organiche
Allo stato puro, un’attività di ufficio stampa e media relations dovrebbe essere tesa soprattutto alla creazione, e al posizionamento, di notizie organiche. Attraverso la conoscenza del comparto, delle testate e della sensibilità di un maggior numero possibile di giornalisti, un buon ufficio stampa è in grado di offrire la migliore proposta a ogni singolo destinatario. Questo è un lavoro continuo, che non si esaurisce in un lancio di agenzia o nell’organizzazione di una intervista. È, invece, un impegno costante fatto di ascolto e relazioni perché mette al centro le persone per generare il miglior match tra professionalità. Il risultato, se ci si è mossi bene, è una sequela di momenti di visibilità qualitativamente molto validi. Gli interlocutori ci guadagnano informazioni e storie appetibili, perché in linea con i propri interessi. L’azienda ci guadagna in autorevolezza e notorietà, sulla base non dell’auto promozione, ma di una reale e sana attenzione.
Ufficio stampa e media relations nell’epoca digitale
Ciò che obbliga a tenere in considerazione il ruolo dell’ufficio stampa e delle media relations in epoca digitale è l’espressione comunicazione integrata. L’identità digitale di un’azienda o di un brand si costruisce tramite una strategia che interseca consapevolmente la gittata di ogni singolo canale. I media così detti tradizionali hanno la loro specifica area d’azione, senza considerare che agiscono da protagonisti anche nell’ambiente digitale. Una pubblicazione, dunque, può associare anche un link o un post social sui quali costruire un’ulteriore azione di comunicazione. Inoltre, l’abitudine sempre più marcata degli utenti, praticamente senza distinzioni, di reperire informazioni sul web apre alla possibilità di lavorare attivamente sui risultati di ricerca. Una valida risposta è fatta di contenuti propri chiari e avvincenti, uniti a quelli che parlano di noi e prodotti da autori credibili.