Se sei a capo di un’azienda e non possiedi una social media policy, probabilmente è arrivato il momento di porvi rimedio. La social media policy è infatti uno strumento imprescindibile del management aziendale. Con questo termine si identifica l’insieme di indicazioni che regolamentano le comunicazioni sui canali social effettuate dai dipendenti di una società. L’azienda stila una social media policy per accertarsi che tali comunicazioni non vadano a ledere la propria immagine. Non si tratta di semplici suggerimenti di comportamento, ma di un documento con valore legale, il cui mancato rispetto comporta delle sanzioni. Potremmo dire che tale documento rappresenta la forma più recente di un tassello fondamentale della gestione del rischio: quello relativo alla reputazione.
Tipologie di social media policy aziendale
Abbiamo già parlato dell’importanza di curare la reputazione online, e di come tale concetto sia legato a doppio filo con quello di brand identity. La creazione di una social media policy parte proprio dall’identità e dai valori dell’azienda. Non sono, cioè, solamente le normative riguardanti le relazioni online a uniformare il codice di condotta, ma anche la mission della società. In questo senso, è lecito affermare che non esiste una social media policy uguale a un’altra. In compenso, è possibile classificare le varie policy in base ad almeno un paio di macro distinzioni.
Social media policy interna ed esterna
La social media policy interessa chiunque possa condizionare la reputazione del brand tramite l’utilizzo delle piattaforme digital, dai dipendenti ai collaboratori, dai dirigenti ai fornitori. Solitamente si individuano due tipologie di policy, a seconda del soggetto su cui il documento si concentra.
Interna
Come suggerisce il nome, la policy interna si rivolge all’interno dell’azienda, vale a dire ai dipendenti che si interfacciano con i canali aziendali. Questo include non soltanto il lavoro “ufficiale” degli amministratori, ma anche le citazioni o ricondivisioni tramite account personale. Infatti, le comunicazioni sulle piattaforme sono comunicazioni pubbliche, nelle quali il dipendente è percepito come un’estensione del brand per cui lavora. L’utente deve avere chiaro, ad esempio, quali sono i valori dell’azienda e quali informazioni può divulgare. Questo vale anche per influencer o creator che parlino a nome del brand. La policy interna regolamenta inoltre l’utilizzo dei social network personali da parte dei dipendenti durante l’orario di lavoro.
Esterna
La social media policy esterna riguarda la comunicazione social tra l’azienda e il mondo esterno, cioè tutti gli utenti che non sono dipendenti o collaboratori. Tale documento interessa dunque nello specifico il lavoro di social media manager, community manager e figure analoghe incaricate del rapporto online con il pubblico. In esso sono definiti ruoli e attività di gestione dei diversi canali. Rispetto alla policy interna, inoltre, la policy esterna dovrà prevedere norme relative alla moderazione dei commenti e al trattamento dei dati personali degli utenti.
Social media policy nel settore pubblico e privato
Da diversi anni i social media rappresentano un importante presidio di comunicazione non soltanto per le aziende private, ma anche per gli organi della Pubblica Amministrazione. Se in linea generale valgono gli stessi accorgimenti per entrambe le situazioni, è bene comprendere le sfumature di rischio dell’uno e dell’altro caso.
Settore pubblico
I cittadini si dirigono sulle piattaforme della Pubblica Amministrazione in cerca di informazioni e, spesso, di un dialogo con le istituzioni più umano e immediato. Gli account social nel settore pubblico, dunque, hanno una doppia responsabilità. Da una parte, devono impegnarsi a non tradire questo tacito patto con gli utenti, garantendo risposte rapide e un tono cordiale. Dall’altra parte, devono adottare un linguaggio adeguato agli enti che rappresentano: chiaro, professionale e privo di individualismi. Una singola risposta fuori luogo è sufficiente a togliere qualsiasi credibilità all’istituzione. Ricordiamo tutti la piega disastrosa presa qualche anno fa dalla pagina Facebook “INPS per la Famiglia”.
Settore privato
Comunicare sui social media nel settore pubblico comporta alcune responsabilità che il privato non ha; ciò non toglie che anche questo settore necessiti di regole. Il tono di voce, ad esempio, può variare molto a seconda dell’ambito operativo e della singola azienda. Il ricorso a espressioni colloquiali e messaggi canzonatori è accettabile per brand che fanno dell’ironia il fulcro della propria strategia di comunicazione (come Burger King). Lo stesso approccio applicato a un marchio totalmente diverso può invece costituire una violazione della social media policy, se incide negativamente sulla reputazione aziendale.
Un errore, d’altra parte, può derivare semplicemente da procedimenti di pubblicazione disorganizzati; persino un colosso come McDonald’s può cascarci. Sviste di questo tipo magari non si traducono in una perdita economica, ma hanno comunque il loro peso nel minare la credibilità del brand agli occhi del pubblico.
Social media policy, guida per orientare il dipendente
Trattandosi di un testo con valore legale, la social media policy deve essere redatta da un professionista esperto in materia. Tuttavia, è essenziale che ad affiancarlo ci siano figure interne all’azienda, che conoscano bene la brand identity, il posizionamento, il target di riferimento. Compito di queste figure sarà quindi definire il giusto orientamento della policy, e accertarsi che le indicazioni siano scritte in modo comprensibile da ogni dipendente. È utile, ad esempio, distinguere tra regole di tipo tecnico, come quelle afferenti alla sicurezza, e principi di comportamento che interessano il piano etico-valoriale.
Indicazioni tecniche
In questa categoria rientrano una serie di regole molto specifiche che rappresentano il punto di partenza per la gestione corretta e sicura dei canali aziendali. Qui si indica ad esempio quali sono gli account e gli hashtag ufficiali, a chi è consentito amministrare i canali, qual è la procedura di pubblicazione. Può essere utile riservare uno spazio ad hoc a ogni singola piattaforma presidiata, specificando le differenze di accesso e di pubblico. Infine, vale la pena ricordare le misure di sicurezza da adottare per evitare attacchi hacker, violazioni della privacy o la condivisione di contenuti confidenziali. Nel 2011 la Fox ha dovuto rivedere i contratti dei propri show, dopo che una comparsa della serie Glee ha diffuso informazioni inedite su Twitter. A quanto pare, infatti, mancava un accordo di non divulgazione.
Indicazioni etiche e valoriali
Insieme alle direttive tecniche, è bene fornire al dipendente alcune regole di netiquette, legate più al buon senso che alla sicurezza informatica. Qui si definiscono i confini etici della comunicazione social, specificando quali contenuti e comportamenti non sono ammessi, perché ritenuti offensivi o contrari all’identità aziendale. È su queste indicazioni in particolare che si gioca la reputazione del marchio; per questo, una violazione può avere conseguenze pesanti. Tornando al discorso sulla policy interna, è fondamentale che i dipendenti capiscano che le regole valgono anche per i loro account personali. Tanti spesso lo dimenticano: è il caso di una professionista americana, licenziata nel 2013 per la condivisione di un tweet razzista sul proprio profilo.
Rischi e ripercussioni
Il dipendente deve sapere che l’infrazione della social media policy comporta molteplici rischi economici e morali. Reati come la diffamazione o la violazione della segretezza possono portare alla perdita di importanti accordi commerciali o a danni reputazionali irreparabili. Diversi titoli di giornale degli ultimi anni dimostrano che non di rado ci sono gli estremi per un licenziamento. Uno studio recente condotto su oltre 300 notizie di questo tipo ha individuato nel razzismo il reato maggiormente punito. Seguono i conflitti tra colleghi e i contenuti offensivi e violenti. Inutile dire che più peso ha la posizione ricoperta dal professionista, più peso ha l’infrazione. Non a caso, tra le principali vittime degli uragani social troviamo pubblici ufficiali quali forze dell’ordine e insegnanti, seguiti dai professionisti sanitari.
Quando e come scrivere una social media policy
Nell’era della comunicazione digitale, quasi tutti i brand sono presenti sulle piattaforme social. E avere anche un solo account aziendale è un requisito sufficiente per necessitare di una social media policy. Ne deriva l’assunto al principio di questo articolo: se hai un’azienda, devi avere una social media policy. Tra il dire e il fare, però, c’è di mezzo un mare di normative e informazioni sulle piattaforme, dove non è detto che un dirigente sappia nuotare. Per fortuna, esistono salvagenti appositi: il primo, come indicato, è un supporto legale. Il secondo è la consulenza di professionisti esperti del mezzo social, che sappiano prevedere le potenziali situazioni critiche e identificare il modo migliore per scongiurarle. Questo secondo intervento serve inoltre a perfezionare la comunicazione del regolamento a dipendenti e collaboratori. Difatti, al fine di ridurre i rischi, la trasmissione della policy è tanto importante quanto la stesura stessa.