Se hai un’azienda e non hai mai fatto un piano di comunicazione di crisi, abbiamo una buona e una cattiva notizia per te. Quella cattiva è che potresti averne bisogno dall’oggi al domani, quella buona è che questo articolo ti fornirà le basi per realizzarlo.
Innanzitutto, va sottolineato che “crisi” per un’impresa può voler dire molte cose; per questo il tema interessa qualsiasi azienda, anche la più piccola. In quest’area concettuale può rientrare un crollo in Borsa così come una recensione negativa su TripAdvisor. Ogni problema ha un proprio peso capace di far scricchiolare il brand, che non va ignorato. Basta poco, infatti, perché un danno reputazionale si trasformi in danno economico, soprattutto se mal gestito.
Che cos’è la comunicazione di crisi
Qualche giorno fa il CEO dell’Academy Bill Kramer ha dichiarato che, in vista dei premi Oscar 2023, l’organizzazione ha implementato un nuovo “crisis team”. Lo scopo: prepararsi a gestire in tempo reale qualsiasi potenziale emergenza che colpisca la cerimonia. La decisione arriva dopo il famoso schiaffo di Will Smith del 2022, che ha segnato la reputazione dell’Academy più della guancia di Chris Rock.
Difatti, il pubblico ha notato e criticato duramente la mancata presa di posizione dell’organizzazione nelle ore successive al fatto. Al contrario, quando si verifica un evento capace di danneggiare gravemente la brand reputation, l’azienda deve attivare una strategia di comunicazione ad hoc. Si parla allora di comunicazione di crisi.
Chi sono i portavoce
Approntare una strategia di comunicazione di crisi significa pianificare le operazioni che la società intraprenderà allo scoppio di diversi ipotetici scenari emergenziali. Una coordinata che non può mancare nel piano è l’indicazione delle figure aziendali preposte a trasmettere i messaggi agli stakeholder. I responsabili delle Pubbliche Relazioni si occupano della parte strategica, mentre a fare da portavoce sono solitamente dirigenti legati alla materia oggetto della crisi. In ogni caso, deve trattarsi di qualcuno che possa rappresentare al meglio il brand, perché è a nome del brand che parlerà. Il più delle volte è lo stesso CEO. Tali persone prestano il volto alle dichiarazioni societarie, e sono istruite preventivamente su ciò che possono e non possono dire in pubblico.
Chi sono gli interlocutori
Il piano di comunicazione di crisi porta indicate anche le figure alle quali si rivolge la comunicazione. Il focus sarà principalmente sugli stakeholder esterni, vale a dire i consumatori, i fornitori, i media, le istituzioni, e così via. L’ideale è preparare messaggi diversi a seconda dei destinatari, modulando il linguaggio e il tono di voce sul medesimo contenuto. Individua anche il canale di comunicazione più adatto a ciascuno. La personalizzazione è sempre una buona idea, soprattutto in circostanze che fanno vacillare la fiducia dei tuoi interlocutori.
Gli stakeholder interni, ossia i dipendenti, sono invece coinvolti in forma preventiva, perché siano allineati sul comportamento da adottare al momento della crisi. È importante anche stabilire una gerarchia che indichi come tali informazioni saranno condivise all’interno dell’azienda.
I 5 pilastri della comunicazione di crisi
La comunicazione di crisi consiste in larga parte nel prevedere l’imprevedibile. Questo perché una crisi è per definizione un’emergenza, e un’emergenza è un evento che devia dalla norma conosciuta e controllata. Tornando agli Oscar 2022, nessuno rinfaccia all’Academy di non aver previsto che un attore d’improvviso desse uno schiaffo al conduttore. Quello che le si rinfaccia è di non aver previsto che si verificasse una deviazione dalla norma, ritrovandosi così senza un piano per arginarla. La reazione dell’organizzazione è stata confusionaria, tardiva, per molti tiepida. Senza contare che la cerimonia degli Oscar già nel 2017 aveva vissuto un imprevisto notevole, con l’assegnazione sbagliata del premio per il Miglior Film. Episodio di minor conto, ma comunque minatorio per la credibilità dell’organizzazione (e di PwC, che gestiva gli scrutini e preparava le buste). La pianificazione è essenziale: ecco gli aspetti di cui avere particolare cura.
1. Prevenzione
Il primo step nella comunicazione di crisi è fare di tutto per non dovervi ricorrere. Innanzitutto, devi sapere che una crisi può colpire il tuo brand da due sorgenti. Dall’interno, se ad esempio una spokesperson rilascia dichiarazioni controverse, oppure se si riscontrano gravi difetti di prodotto. Un caso recente è quello del tiramisù vegano che conteneva tracce di latte non dichiarate.
La sorgente è esterna se, invece, l’azienda è danneggiata da un evento esterno a essa, come un atto criminoso o una calamità naturale. Pensiamo all’impatto che ha avuto la pandemia sull’operatività di moltissime imprese.
Le azioni o affermazioni “scomode” si prevengono, come si diceva, con la formazione di portavoce e brand ambassador. Per quanto riguarda il resto, la cosa migliore è realizzare una SWOT analysis per prevedere almeno in parte i rischi connessi alla società.
2. Tempestività
Se la prevenzione è il primo imperativo della comunicazione di crisi, la rapidità d’azione è al secondo posto. Tanto è violento l’impatto di una crisi, quanto più gli occhi del pubblico saranno puntati sul brand nei giorni che seguono l’evento. Le prime 24 ore in particolare sono decisive per reagire pubblicamente all’accaduto. Se in questo lasso di tempo l’azienda tace, il silenzio sarà interpretato come la sua reazione ufficiale. E va da sé che il silenzio non è (quasi) mai una buona strategia comunicativa, perché si lascia ad altri la libertà di riempirlo a piacere. Soprattutto sui social media, dove le conversazioni si alimentano alla velocità della luce.
A quel punto, eventuali misure adottate successivamente dal brand, scuse comprese, perderanno credibilità. Il pubblico tenderà infatti a percepirle come deboli, incerte, poco spontanee.
3. Chiarezza
Le situazioni di crisi sono i classici momenti in cui prosperano incomprensioni, fraintendimenti, allarmismi e fake news. La comunicazione di crisi ha il compito di portare ordine nel caos, e deve pertanto fare leva su messaggi chiari, concisi e accessibili a tutti. È importante che la posizione dell’azienda sia inequivocabile. La chiarezza deve riflettersi sul linguaggio, ma anche sulla scelta delle spokesperson, che non saranno troppe (una o due) e avranno un ruolo ben definito.
La chiarezza è certamente mancata nella reazione di Volkswagen allo scoppio dello scandalo Dieselgate nel 2015. Di fronte alle accuse della EPA (Environmental Protection Agency) di violare intenzionalmente le norme anti-inquinamento, la società ha rilasciato affermazioni contraddittorie. Infatti, pochi giorni dopo aver dichiarato di non sapere nulla della frode, i dirigenti hanno ammesso il proprio coinvolgimento. La cosa migliore sarebbe stata seguire una linea sincera e coerente fin dall’inizio.
4. Monitoraggio
Non basta un singolo messaggio a gestire o risolvere una crisi. La comunicazione di crisi solitamente si prolunga per diverse settimane o mesi; non a caso si parla di strategia. Un’analisi della reputazione aziendale non soltanto prima, ma anche durante e dopo l’emergenza è fondamentale per orientare le tue azioni. Tieniti aggiornato sulle conversazioni attorno al brand, presidiando in particolare i canali social, per essere pronto a reagire a qualsiasi possibile sviluppo. Monitora gli hashtag legati all’azienda, ai suoi prodotti e alle sue figure chiave, così come le richieste al customer service e le keyword del settore.
Un’area critica può essere quella delle recensioni online perché, come già accennato, da un semplice commento negativo può derivare un danno importante. Non lasciare mai una critica senza risposta; rispondi con toni distesi e offri la tua disponibilità al dialogo per risolvere la problematica segnalata.
5. Responsabilità
La comunicazione di crisi è per sua natura tailor made, modellata direttamente sul campo, tante sono le sue possibili evoluzioni. Sono pochissime le regole valide per ogni occasione, ma almeno una è certa: mai scaricare la colpa sull’interlocutore. Quante volte si sente un personaggio pubblico dichiarare “Non ho sbagliato, siete voi che avete frainteso”, e quante volte queste parole sono accolte benevolmente? Nel 2022 lo ha fatto Elisabetta Franchi, finita al centro delle polemiche dopo aver dichiarato di assumere solo donne over 40, presumibilmente meno prese dalla famiglia. L’accusa ai media di aver strumentalizzato le sue parole non ha calmato la bufera.
A prescindere da quale sia la verità, rispondere “mi sono espresso male” ha tutto un altro effetto a livello comunicativo, perché favorisce l’ascolto. Soprattutto quando la tua posizione appare indifendibile, ammettere la colpevolezza e scusarti è la strategia migliore. In seguito, lavorerai per riparare all’errore commesso.
Le due vie per fare comunicazione di crisi
Premesso che ciascuna azienda dovrebbe prepararsi a fare comunicazione di crisi, la strategia ideale parte da una consulenza specializzata, disponibile h24.
Le vie da percorrere sono due. La prima è un’azione preventiva, ossia un’analisi volta a individuare tutti i possibili scenari critici attorno al tuo brand. Nulla va dato per scontato: spesso, infatti, gli eventi a più bassa probabilità sono quelli a più alto impatto. L’obiettivo è agire subito sulle debolezze, per evitare che la crisi si verifichi. La seconda via è una consulenza passo per passo (affiancata a una formazione interna) da attivare al momento stesso della crisi, per gestirla al meglio.