Senza voler tornare troppo indietro nel tempo, la prima forma di raccolta fondi sul web che ha dato origine al fenomeno del crowdfunding nasceva come un modello di donazione pura, il cosiddetto donation crowdfunding, in cui l’utente (una persona fisica, una persona giuridica, un ente etc.), semplicemente per spirito di liberalità e allo scopo di partecipare alla realizzazione di progetti con finalità sociali, culturali o sociali, devolve altruisticamente il proprio denaro a sostegno di una causa specifica, non ricevendo in cambio alcuna ricompensa o, al massimo, ricompense simboliche, spesso intangibili. In pratica, la trasposizione digitale della classica beneficenza che da sempre finanzia progetti sociali, ambientali e di ricerca scientifica attraverso associazioni e organizzazioni no profit.
Donation Crowdfunding
Con la nascita del crowdfunding, infatti, tutta l’attività di raccolta fondi si trasferisce e si amplifica online, attraverso specifiche piattaforme digitali – in primis DeRev.com – su cui i donatori possono consultare e approfondire le campagne di raccolta fondi e scegliere uno o più progetti da sostenere.
La disciplina giuridica delle elargizioni tramite donation crowdfunding fa riferimento al Codice Civile italiano, laddove le donazioni sono definite come “contratti attraverso i quali, per spirito di liberalità, una parte arricchisce un’altra andando a disporre a favore di questa di un suo diritto oppure andando ad assumere una obbligazione verso la stessa”.
Non stupisce, infatti, che siano proprio coloro che sono animati da uno scopo umanistico, da motivazioni filantropiche a ricorrere a ricorrere principalmente a questo modello fra tutte le tipologie di crowdfunding esistenti. Per di più le donazioni verso organismi costituiti in forma di Onlus (Organizzazioni non lucrative di utilità sociale), possono consentire ai sostenitori di beneficiare di alcuni sgravi fiscali: insomma, un altro incentivo per ricorrervi.
Reward Crowdfunding
Alquanto distante dal modello di donazione pura di tipo solidaristico è invece il reward crowdfunding, una delle forme di raccolta fondi più diffuse sul web attraverso cui l’autore di un progetto lanciare una campagna per finanziare uno specifico progetto – non necessariamente legato a iniziative di beneficenza ma più spesso di carattere artistico, tecnologico, culturale, imprenditoriale, civico, politico e sportivo – offrendo ai donatori una ricompensa variabile in base all’importo della loro donazione.
Anche in questo caso, la disciplina giuridica sul reward crowdfunding fa riferimento al Codice Civile italiano e, in base al modo in cui si decide di costruire la propria campagna e di proporre le relative ricompense, può essere intesa con diverse modalità all’interno del nostro ordinamento giuridico. In particolare, nel reward crowdfunding possono verificarsi quattro principali casi, che talvolta possono coesistere all’interno di una campagna che offre diverse tipologie di ricompense:
1) La ricompensa consiste in una prevendita del prodotto da realizzare con la campagna
In un primo caso, un soggetto – che può essere sia una persona fisica che un soggetto giuridico, come un’associazione, un ente o un’azienda – lancia una campagna di crowdfunding sulla piattaforma DeRev al fine di raccogliere fondi per realizzare uno specifico progetto e/o prodotto, offrendo ad ogni sostenitore, in cambio del denaro versato, determinate ricompense non finanziarie, ovvero dei beni o dei servizi che quasi sempre includono anche il prodotto stesso che viene finanziato dalla campagna. Più precisamente, attraverso una campagna di reward crowdfunding un gran numero di persone sceglie di finanziare con il proprio denaro la realizzazione di un bene, un servizio o un prodotto (che magari non è ancora presente sul mercato), e successivamente – proprio grazie ai soldi raccolti – il progettista potrà avviare la produzione del prodotto (la prestazione del servizio) e inviarlo ai donatori come ricompensa.
Da un punto di vista strettamente giuridico, questa categoria di reward crowdfunding configura una compravendita futura che si perfeziona con la realizzazione del prodotto (o l’erogazione del servizio), e pertanto la ricompensa è configurabile come prevendita di bene futuro a cui si applicano tutte le leggi, la fiscalità e le regole dell’e-commerce. Tendenzialmente dovrebbe poi seguire anche uno scontrino fiscale o una fatturazione, che però è sempre in capo al progettista. Infatti, è il progettista che, in base alla sua figura giuridica, deve emettere una fattura oppure una ricevuta, dovendo altresì adempiere all’impegno dell’invio della ricompensa nelle modalità e nei tempi indicati nella campagna.
A fine dicembre 2018, l’Agenzia dell’Entrate, con la propria risposta all’interpello n. 137 del 27 dicembre 2018, ha chiarito che il progettista «sarà tenuto ad aprire una posizione IVA e a fatturare, ai singoli finanziatori, la cessione del prototipo, ai sensi dell’articolo 6 del DPR n. 633 del 1972» (nel caso in cui il progetto vada a buon fine) e «i finanziamenti ricevuti tramite il crowdfunding reward-based, nonché i proventi derivanti dalla commercializzazione del prodotto realizzato saranno assoggettati alla disciplina fiscale del lavoro autonomo o del reddito di impresa, a seconda della tipologia scelta per lo svolgimento dell’attività.
2) La ricompensa rappresenta un ritorno simbolico con un valore inferiore all’importo della donazione
Nel secondo caso, invece, la ricompensa offerta dalla campagna di crowdfunding ha un valore simbolico e non monetario e comunque il suo valore economico è inferiore alla somma donata, per cui si viene a configurare una donazione modale, anche questa disciplinata dal nostro Codice Civile.
In queste circostanze è importante valutare le situazioni caso per caso, tuttavia – a livello teorico e in linea con la Direttiva Europea sull’imposta sul valore aggiunto – l’IVA andrebbe applicata a queste transazioni, indipendentemente dal fatto che – magari – l’equivalente prezzo di mercato del prodotto o del servizio offerto dal progettista (persona fisica o giuridica) risulti (anche molto) più basso del contributo monetario offerto dagli utenti, ossia dei loro versamenti.
3) La ricompensa consiste in un guadagno economico proporzionato ai ricavi e ai profitti del progetto
La terza tipologia viene definita come royalty crowdfunding in quanto la ricompensa consiste in una partecipazione ai profitti o ai ricavi associati all’investimento, ma senza alcun titolo di proprietà sul progetto né di rimborso del capitale. Anche in questo caso, la disciplina giuridica che va applicata trova il suo fondamento nel nostro Codice Civile e, più in particolare, ci si può riferire alle norme sull’associazione in partecipazione (artt. 2549 ss. c.c.3), per la qual cosa il finanziatore percepisce – per l’appunto – delle royalties sulla base dell’importo investito, che possono riguardare ad esempio: diritti di autore, diritti di proprietà intellettuale, brevetti, licenze, marchi registrati e così via. Ne consegue, quindi, una determinata modalità di tassazione ed una conseguente applicazione dell’IVA.
Questo strumento consente, infatti, l’associazione di un numero aperto ed indeterminato di investitori, il cui rapporto deve essere, però, contrattualizzato in modo adeguato a evitare l’applicazione suppletiva di norme di legge non propriamente compatibili con il tipo di crowdfunding. In linea di massima, come avviene anche negli altri paesi, si prevede, generalmente, la fissazione di un termine. L’associato in partecipazione non ha i diritti del socio, ma ha poteri di controllo che devono essere definiti contrattualmente e che in genere si limitano all’analisi del rendiconto. Da un punto di vista strettamente fiscale, però, va precisato che gli utili attribuiti agli associati in partecipazione non sono fiscalmente deducibili e ciò costituisce un chiaro limite alla diffusione di tale strumento.
4) La ricompensa consiste in una sponsorizzazione o in una partnership
L’ultimo caso di reward crowdfunding da esaminare, e che sta riscuotendo un notevole successo anche nella Pubblica Amministrazione, è quello che consente al donante di sostenere un progetto in cambio di una sponsorizzazione od anche una partecipazione al medesimo progetto.
In questo caso tra il donante e il donatario si realizza un vero e proprio contratto di sponsorship, – istituto giuridico nato storicamente nel diritto romano dove, con la sponsio, il promittente-debitore si obbligava a tenere, in favore della controparte, una prestazione nella quale coesistevano elementi di garanzia e obblighi di fare – che nel nostro ordinamento viene definito come un contratto atipico (art. 1322 c.c.), a forma libera (art. 1350 c.c.), di natura patrimoniale (art. 1174 c.c.), a prestazioni corrispettive (sinallagmatico), in forza del quale lo sponsorizzato (sponsee) si obbliga a consentire ad altri (sponsor) l’uso della propria immagine pubblica e del proprio nome, per promuovere un marchio o un prodotto specificamente marcato, dietro corrispettivo (che può sostanziarsi in una somma di denaro, in beni o servizi ovvero in entrambi, da erogarsi da parte dello sponsor, direttamente o indirettamente); tale uso dell’immagine pubblica può prevedere anche che lo sponsee tenga determinati comportamenti di testimonianza a favore del marchio o del prodotto oggetto della veicolazione commerciale. Non sono indispensabili prestazioni di particolare importanza da parte dello sponsee, in quanto nella sponsorizzazione conta di più il valore dell'”immagine” di cui è concesso l’uso che non la prestazione in sé.
Nel contratto di sponsorizzazione, lo sponsorizzato (sponsee) si obbliga a consentire ad altri l’uso della propria immagine pubblica e del proprio nome per promuovere un marchio o un prodotto specificamente marcato, dietro corrispettivo corrisposto dallo sponsor. Va chiarito, però, che, qualora in capo allo sponsee non esista un tale preciso obbligo ma si sia in presenza della sola acquisizione, da parte dello sponsor, del diritto a rendere pubblica la propria contribuzione, in termini economici, per la realizzazione dell’opera, si sarà in presenza di un atto di di erogazioni liberali (in denaro o in natura), deducibili dal reddito d’impresa secondo la disciplina dell’art. 100 Testo Unico delle imposte sui redditi (Tuir).
Equity e Lending Crowdfunding
Infine, oltre al donation e al reward, esistono altre due tipologie di crowdfunding di cui parliamo in maniera approfondita in altri post di DeRev:
– Equity crowdfunding, che è disciplinato dal Decreto Crescita e riguarda esclusivamente startup innovative, PMI innovative, fondi (OICR) e società che investono prevalentemente in startup, PMI innovative e startup turistiche. In questo caso, il finanziatore diventa un vero e proprio investitore in quanto, con il proprio contributo, acquisisce quote o azioni (le cosiddette equity) di una società, necessariamente di capitali. L’equity crowdfunding avviene attraverso specifici piattaforme digitali che sono soggette ad una specifica normativa e devono essere autorizzati dalla Consob.
– Lending crowdfunding, anche conosciuto come social lending o p2p lending, rappresenta un prestito di denaro tra privati (consumer lending) o imprese (business lending) senza l’intermediazione degli operatori creditizi tradizionali. L’operazione avviene sempre online tramite l’intermediazione di piattaforme digitali, le quali si occupano di fare incontrare domanda e offerta, controllare la solvibilità dei richiedenti e di erogare il prestito e infine riscuotere i crediti.
Avv. Mario Polizzy
Patrocinante in Cassazione e innanzi alle Magistrature Superiori
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