Di purpose aziendale si è iniziato a parlare circa 20 anni fa, più o meno nello stesso periodo in cui emergevano le prime discussioni sulla responsabilità sociale d’impresa. Il periodo, cioè, in cui la qualità dei prodotti e dei servizi ha cominciato a rivelarsi un elemento insufficiente per esprimere un giudizio su un brand. Da allora ad oggi, le conversazioni in ambito business si sono concentrate su sigle quali CSR ed ESG e termini quali mission e vision. Soltanto in tempi recenti il concetto di purpose è tornato in auge, evolvendosi e diventando la priorità numero uno degli imprenditori. Si è capito infatti che la definizione del purpose è il punto di partenza per la definizione della cultura etica, componente irrinunciabile della strategia aziendale. Si può dire che senza il purpose non esiste il brand. Ecco perché è fondamentale capire di cosa si tratta.
Mission, vision o purpose?
In un fortunato TED Talk, la CEO di Brighthouse Ashley M. Grice spiega la differenza tra tre termini di corporate strategy che spesso vengono confusi. Nello specifico, la mission di un’azienda risponde alla domanda “che cosa”, e coincide con ciò che essa fa ogni giorno. La vision, invece, risponde alla domanda “dove” e indica dove la società è diretta. Infine, il purpose aziendale risponde alla domanda “perché”. Secondo Grice, è un concetto che si trova all’intersezione “tra chi sei al tuo meglio e il ruolo che dovresti ricoprire nel mondo”.
Il purpose tiene insieme gli altri due concetti e li carica di significato. Per fare un esempio concreto, il purpose di Foot Locker è “ispirare e potenziare la cultura giovanile”. La sua mission è invece “alimentare una passione condivisa per l’espressione di sé”, e la vision “creare esperienze per i consumatori che non abbiano rivali”.
Gli interlocutori
Il purpose aziendale è un costrutto che parla a tutti gli stakeholder di un brand, sia esterni che interni, senza un ordine di importanza.
Gli interlocutori esterni sono i consumatori, che idealmente si riconoscono nel purpose e grazie a esso allacciano con il brand una relazione più profonda.
Gli interlocutori interni sono invece coloro che lavorano dentro e per l’azienda. Nei loro confronti, in particolare, il purpose assume ruoli diversi a seconda del livello professionale. Per la dirigenza, esso vale come indicatore per guidare la strategia aziendale. Le figure manageriali, invece, guardano al purpose per trovare una coerenza tra le attività loro deputate, spesso molto varie e difficili da conciliare. Infine, le figure più operative individuano nel purpose la ragione profonda del proprio lavoro, e grazie a esso si percepiscono parte rilevante di un insieme.
In tutti i casi, il purpose agisce da portatore di significato e motore del coinvolgimento.
Caratteristiche del purpose aziendale
Creazione di valore
L’elaborazione del purpose aziendale è strettamente legata all’individuazione dei valori che uniformeranno l’agire del tuo brand. Descrivendo ciò per cui l’azienda esiste, il purpose rivela anche ciò per cui essa si batte e, dunque, come intende contribuire alla crescita della società. L’esistenza del purpose sottintende infatti che il brand nasce per portare un miglioramento nel mondo, piccolo o grande che sia. Il purpose deve essere colmo di significato e deve creare valore per tutti gli stakeholder. Pensiamo al purpose di Target: “aiutare le famiglie a scoprire la gioia della vita di tutti i giorni”. O a quello di Pfizer: “innovare per rendere il mondo un luogo più sano”.
Autenticità
Può sembrare superfluo specificarlo, ma è fondamentale che il purpose aziendale non sia semplicemente una frase a effetto pensata a tavolino. Dalla definizione del purpose, infatti, derivano a cascata tutte le scelte dell’azienda: se il purpose è debole, la società è debole. Più precisamente, il rischio di una riflessione non sincera in merito è quello di scavare una crepa tra ciò che dichiari e ciò che fai. E consumatori e dipendenti sono sempre più allenati a notare crepe di questo tipo, perché sempre più l’autenticità si posiziona in cima alla scala dei valori. Se elabori un purpose in cui non credi davvero e che non intendi seguire, puoi anche avere successo agli inizi, ma l’effetto boomerang è dietro l’angolo.
Collettività
Il CEO di un’azienda può fungere da brand ambassador, ma ciò in cui lui crede come individuo non deve rappresentare lo spunto principale del purpose. In altre parole, il purpose aziendale non deve essere espressione dell’ego di un singolo. Se infatti mission e vision di un’impresa possono mutare con il tempo, ad esempio a seguito di acquisizioni o fusioni, il purpose non cambia mai. Questo perché esso, come si diceva, rappresenta la ragione per cui l’azienda esiste, ed è un concetto che riguarda la collettività. Ciò significa che il purpose per chiamarsi tale deve poter sopravvivere anche a chi lo ha ideato.
Dalla teoria alla pratica
Il purpose aziendale non va semplicemente pensato; affinché produca valore, è necessario metterlo in pratica, internamente ancora prima che esternamente. Capisci di averlo fatto in modo efficace quando i dipendenti e i collaboratori dell’azienda lo promuovono e applicano in modo naturale. Quando, cioè, il purpose è talmente interiorizzato da diventare una sorta di memoria muscolare. Esistono alcuni passaggi da attuare (sia in forma preliminare che continuativa) per raggiungere questo punto di approdo.
Il codice etico
Ancor più della mission e della vision, il purpose aziendale ha a che fare con il posizionamento etico del tuo brand. Le motivazioni che porti avanti e le convinzioni che difendi sono ciò che più ti caratterizza e che ti distingue nel mercato. Naturalmente tali posizioni sono valide nel momento in cui sono supportate da una specifica attività di informazione. È qui che entra in gioco il codice etico, un importante sostegno alla comunicazione del purpose all’interno della tua azienda. Esso contiene i valori in cui crede la società e le regole morali e sociali da essi ispirati, cui le risorse interne devono attenersi. Tale documento non ha valore legale, ma la sua esistenza è ufficializzata dal Decreto Legislativo 231/2001, che disciplina la responsabilità amministrativa della società. Il codice etico, quindi, serve anche come strumento di gestione del rischio, integrandosi al Modello 231 nella prevenzione di reati.
Iniziative concrete
Oltre gli statement e le comunicazioni, il purpose aziendale si esprime principalmente nei fatti concreti. Ecco dove questo costrutto rivela un’altra caratteristica distintiva, ossia la propria “scomodità”. Il purpose è necessariamente scomodo per l’azienda, perché una volta che lo dichiari, sei anche obbligato a darne prova. Oggi più che in passato, se un brand si erge a difesa di un valore, i consumatori verificano che le azioni siano coerenti con le parole. Partnership, raccolte fondi e attività benefiche sono tutte iniziative valide a sostenere il purpose.
Lo stesso discorso vale per le iniziative interne. Assicurarsi che il purpose sia messo in pratica correttamente nel rapporto con i dipendenti rappresenta il cuore del ruolo delle Risorse Umane. Il purpose si manifesta internamente con azioni quali confronti continuativi, piani di crescita professionale, benefit e attività di team building.
Misurare la cultura etica
Veniamo alle buone pratiche successive o, per meglio dire, continuative del purpose aziendale. Poiché i dipendenti sono i primi ambassador del purpose, è importante che la sua comunicazione sia affiancata da un monitoraggio continuo della sua applicazione interna. Nelle realtà più strutturate la valutazione della cultura etica in azienda è demandata agli specialisti della compliance, che hanno diversi metodi di misurazione. Gli audit, ad esempio, sono analisi che verificano in modo oggettivo la conformità delle policy e dei processi a criteri stabiliti nel codice etico. Un diverso metodo di valutazione è quello offerto dalle survey, che possono essere condotte internamente per indagare il livello di soddisfazione e percezione dell’etica aziendale. Presso i livelli più alti della gerarchia societaria può infine essere utile attivare momenti di self-assessment, ossia di confronto e valutazione condivisa dei risultati.
Comunicare il purpose
Agendo da faro per la strategia di brand in toto, il purpose aziendale rappresenta anche il punto di riferimento primario per la strategia di marketing. Ricapitolando: affinché svolga il proprio ruolo a 360 gradi, il purpose va elaborato, applicato e comunicato. La promozione del purpose si svolge su tutti i normali presidi di comunicazione, dalla stampa offline a sito web e canali social aziendali. Le piattaforme digital in particolare ti offrono l’opportunità di creare interazioni di valore, coinvolgendo il pubblico sulle questioni che più ti stanno a cuore. Attenzione quindi a non sprecare quest’occasione, ad esempio presumendo di affidare la comunicazione del purpose a claim sterili o facili cambi dell’immagine profilo. Il purpose, se pensato bene, è un concetto ampio e complesso che merita una comunicazione pianificata.
La consulenza per il purpose aziendale
Il purpose aziendale è una dichiarazione di intenti che nasce in maniera naturale insieme al brand stesso. È pertanto evidente che lo spunto per la creazione del purpose non può provenire da risorse esterne all’azienda. Un occhio distaccato può servire invece per quanto riguarda l’applicazione del purpose e la sua comunicazione presso tutti gli stakeholder. In particolare, è importante capire che il purpose aziendale rimane efficace se viene alimentato in maniera costante, sia con i fatti che con le comunicazioni. E che, in entrambi i casi, si tratta di attività che richiedono un intervento specializzato.