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Tre cose che la storia di un'insalata di patate ci insegna sul crowdfunding
  • Crowdfunding

Tre cose che la storia di un’insalata di patate ci insegna sul crowdfunding

  • 26 Agosto 2014
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Il crowdfunding è la pietra filosofale? Un’insalata di patate ha reso sempre più ardua la possibile risposta. Due settimane fa, infatti, cinquantamila dollari (scriverlo in lettere lo rende ancora più tangibile) sono stati raccolti da Zack “Danger” Brown su Kickstarter – la più celebre piattaforma di crowdfunding del pianeta – per realizzare il suo piatto preferito, per l’appunto l’insalata in questione.

“Praticamente ho deciso di fare un’insalata di patate, non so ancora di che tipo” è la premessa farsesca della campagna a cui hanno risposto in 6.911, donando ben 55.492 dollari e regalando a tutti la sensazione che con il crowdfunding si possa finanziare davvero qualunque cosa. E non in senso prettamente positivo.

Tre cose che la storia di un'insalata di patate ci insegna sul crowdfunding

Ma è davvero così? Ecco tre aspetti salienti di questa incredibile (ma non troppo) storia di crowdfunding:

1) L’efficacia narrativa della satira e della parodia: Zack ha usato alla perfezione il linguaggio affettato ed emozionale di cui si nutre la nuova narrativa gastronomica applicata ai media. La sua insalata di patate è una proiezione esistenziale goliardica di grande efficacia, e infatti in molti hanno deciso di celebrarla, dissacrando con una donazione il culto degli chef e della cucina-spettacolo.

2) La promozione attraverso l’uso corretto dei media: già dal terzo giorno Zack ha lavorato bene con i media tradizionali, raccontando la sua idea in un programma televisivo dell’Ohio e generando così oltre 4 milioni di visite alla pagina della sua campagna, divenuta in questo modo la quarta pagina più visitata di sempre su Kickstarter, come rivelato dalla stessa piattaforma (anche se il livello di donazioni – ovviamente – non è paragonabile in assoluto agli altri progetti “più visti” di sempre). L’autore è stato poi intervistato da centinaia di giornali online e offline, fino ad apparire addirittura in “Good morning America” a campagna conclusa.

3) La costanza nel produrre contenuti: l’autore ha saputo stimolare la curiosità degli utenti e dei giornalisti montando una serrata campagna di aggiornamenti sul progetto, arricchendoli anche di video-post satirici che spingevano sempre più sull’aspetto surreale del tutto, reso ancor più evidente dall’aumentare delle donazioni. Un circuito virtuoso e vizioso insieme che rendeva una notizia non l’obiettivo del progetto ma il fatto che in tanti partecipassero alla cosa, a prescindere dalla sua serietà, e anzi proprio a discapito di essa.

Da questa analisi derivano tre considerazioni interessanti che restituiscono un quadro più veritiero sulla campagna dell’insalata di patate, raccontando anche qualcosa in più della sensibilità del pubblico.

Come messo in luce su Forbes da Kevin Harrington, le notazioni che risaltano nel caso in questione ci dicono che la gente è pronta a donare più di 50.000 dollari per una burla piuttosto che per molte raccolte contro il cancro (se ne vedono molte bloccate a 20 dollari). Secondo Harrington non si tratta di cinismo assoluto, quanto più di una desensibilizzazione – causata dai media – alla sofferenza altrui, e a una tendenza corrispettiva a concentrarsi su se stessi. “Se mi fa ridere vale la pena partecipare“, in poche parole. Questo l’insegnamento da trarre per chi ha volontà di lanciare un progetto usando il crowdfunding (e non solo).

Il secondo punto incontestabile è che il meccanismo e gli strumenti messi a disposizione dalle piattaforme di crowdfunding sono assolutamente funzionali, ma solo per progetti che siano presentati nel modo giusto, con lo spirito giusto e il linguaggio giusto.

Infine, c’è un altro dato che risulta utile per analizzare le dinamiche del crowdfunding, e che ancora una volta conferma la regola d’oro individuata da molti. Sicuramente la campagna ha ottenuto un successo globale, considerando che i donatori – quasi 7.000 in totale – sono stati per la maggior parte statunitensi (4.676), seguiti dai britannici (419), canadesi (363), australiani (220), tedeschi (179), francesi (107), svedesi (82), danesi (54), olandesi (53), svizzeri (46) e altri da vari altri Paesi. Ma guardando i dati nel dettaglio, risulta che il 63% del totale è stato donato dagli abitanti dell’Ohio, confermando che – per quanto planetario – un vero crowdfunding di successo parte sempre e comunque dal contatto con la comunità locale.

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